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Il titolo potrebbe sembrare una previsione, di quelle medievaliste di Nostradamus. In verità dirò che fatta un'accurata analisi non si potrebbe dire il contrario sulle sorti future dell'Inghilterra alla luce del risultato al Sei Nazioni 2018. Perchè era da ben 31 anni che l'Inghilterra non piombava al 5° posto in classifica (l'ultima volta risale al Cinque Nazioni 1987). Sarà che il sistema di punteggio internazionale consente di mischiare meglio le carte... ma i numeri sono numeri.

Se il XV della Rosa in questa stagione ha centrato soltanto due successi, come può Eddie Jones pensare di poter sollevare la Webb Ellis Cup nel 2019? 

Ed ecco che sulle pagine del NZHerald, questa mattina, è apparso un articolo che farà discutere molto i sudditi di Sua Maestà. E per sudditi intendo i tifosi e gli addetti ai lavori della palla ovale inglese. 

Ometterò le critiche personali, di supporto e fiducia agli All Blacks, e parlerò invece di quelli che sono i veri motivi del tracollo della nazionale inglese. 

Eddie Jones è arrivato sulla panchina britannica al termine della Rugby World Cup 2015, quando l'Inghilterra di Lancaster fu eliminata durante la fase a gironi. Uno dei peggiori mondiali, si potrebbe dire, per i Leoni inglesi.

Il carisma, la "dittatorialità", la fermezza del piccolo coach nippo-australiano sono state le carte vincenti per risvegliare "il gigante" e persuaderlo a fare paura. E fin qui il sistema Jones ha dato i suoi frutti: vittoria del Sei Nazioni 2016 e 2017. Così come questi è stato abile a rimettere insieme i cocci di vetro di una squadra andata in frantumi, non si può dire che sia stato abile a tenerli insieme. Prova di ciò il risultato ottenuto all'ultimo Sei Nazioni. 

Perchè tutto ciò? Le cause vanno attribuite ad un sistema intensivo che getta i giocatori nello sconforto. Il rugby inglese pretende troppo dai propri campioni, i quali sono obbligati a dare il massimo in club e in nazionale. La mancanza di un sistema centralizzato di contratti non consente alla RFU di pianificare il lavoro dei rugbisti inglesi, in modo da garantire le pause necessarie in vista degli impegni internazionali. La RFU e i club inglesi si comportano come due "datori di lavoro" distini e separati. I club restano privati, pertanto chiedono un certo impegno ai giocatori nelle loro attività in club.

Un esempio allampate è Maro Itoje: eccellente negli ultimi due anni, sia in nazionale, sia con i British & Irish Lions in Nuova Zelanda. Al Sei Nazioni 2018 è stato assente. 

Non a caso quest anno a sorridere sono stati Irlanda, Galles e Scozia, lì dove il sistema di contratti centralizzati sta dando i suoi risultati. L'IRFU ha stabilito ottimi contatti con le franchigie e segue accuratamente i giocatori di interesse nazionale, in modo tale da organizzare le loro attività e mantenerli freschi prima degli impegni internazionali. 

I giocatori inglesi, al contrario, devono far fronte ad un sistema che li pone sotto stress. I risultati si sono visti, il lavoro di Jones sta percorrendo il lato discendente della parabola. E dal momento che alla Rugby World Cup 2019 manca poco più di un anno sembra improbabile che il "Coach" possa trovare una soluzione al problema, dal momento che il... problema... è ai vertici.

Da qui mi sentirei più di scommettere sul trionfo dell'Irlanda al prossimo Mondiale, l'unica squadra europea che, da un paio di anni a questa parte, ha dimostrato di avere gli strumenti per far male a livello internazionale.

 

Foto Twitter @votepollema