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Il Barone su 6 Nazioni, giovani, e la difesa di Twickenham

Una vita, la prima, sul lato dell’introduzione di alcune fra le mischia più ruvide e potenti del pianeta ovale. L’altra (quasi) equamente divisa fra apparizioni televisive, l’attività di allevatore, quella di ambasciatore dell’Unicef, di consulente aziendale per la formazione, di bandiera e testimonial (con Carlton Mayers per il basket e Simone Perrotta per il calcio) dell’Hfc Sport Club di Roma. Un ruolo cui tiene molto è quello di difensore dei diritti umani dei bambini e del loro diritto di fare sport, attività che svolge spostandosi molto sovente per l’Africa. A fine mese partirà per il Camerun, è stato recentemente in Eritrea. In Sicilia è l’anima de I Fenici di Marsala. “Il mio sogno -  confessa  - è creare una sorta di polo multirazziale nel nome del rugby che coinvolga ragazzi siciliani e libici e che aiuti, nel nome della nostra disciplina, ad abbattere muri e a superare salite. L’Ha fatto Nelson Mandela, l’ha fatto il popolo irlandese, perché non provarci?  Amo le sfide”. Andrea Lo Cicero, 41 anni a maggio, il Barone. Segni particolari: idee chiare e vocazione a metterci la faccia. Sempre. In mischia ordinata e nella vita di ogni giorno.

ï         Ma il rugby, lo segue ancora?
-          E come non potrei. Il rugby mi ha dato tanto. Ne sono innamorato. E i veri amori non si scordano mai.

ï         Segue il Sei Nazioni?
-          Partite dell’Italia e non solo

ï         Che idea si è fatto di questa edizione 2017?
-          Che in Europa si gioca un grande rugby, a tratti grandissimo.

ï         Tutti?
-          Ogni Nazionale secondo natura e possibilità, ovviamente. Ma il tentativo di migliorarsi e di alzare il livello delle prestazioni è evidente. E va apprezzato.

ï         Chi gioca il rugby migliore, al momento?
-          Difficile dirlo. Parlerei di progressi

ï         Prego…
-          Inghilterra e Scozia sono le Nazionali che di più sono cresciute in qualità rispetto al recente passato. L’Inghilterra ha fatto un pessimo Mondiale e la Scozia pareva destinata a replicare gli alti e bassi degli ultimi anni. E invece il loro gioco si alzato di qualità e di intensità. Merito dei tecnici, dei giocatori e dell’insieme dei movimenti di cui sono espressione.

ï         Le altre?
-          Un gradino sotto situerei Irlanda e Galles. La prima perché ha dimostrato di saper mantenere standard altissimi e dispone di una rosa discretamente ampia da cui pescare. Il Galles perché sono la dimostrazione di cosa siano lo spirito di appartenenza e la combattività. Anche in situazioni non felici, quando riescono ad accendersi e a mettersi in moto… sono uno spettacolo bello da vedere, coinvolgente. E un incubo per gli avversari.

ï         La Francia?
-          Quella vista finora è la peggiore che mai mi sia capitato di vedere. Noves però è uno che ci sa fare. Responsabilizza al massimo i giocatori per indurli a trovare soluzioni adeguate ai problemi che il campo presenta. All’inizio di questo processo alquanto complesso avrà sicuramente qualche problema. Ma se gli lasceranno il tempo di cui ha bisogno i risultati arriveranno. Ne sono certo. È stato mio allenatore, conosco il suo valore.

ï         Resta l’Italia…
-          Che sta affrontando fra qualche prevedibile problema un radicale cambiamento generazionale. Se la Fir saprà sostenere lo sforzo in atto avremo i risultati che tutti ci auguriamo. Ma occorrono tempo, serenità, scelte condivise ed equilibrio…

ï         Che la Fir per il passato non sempre ha avuto?
-          La storia ci dice che la Nazionale è stata affidata a tecnici provenienti da realtà a volte molto distanti fra loro. E questo non sempre ha aiutato a progredire. Non tutti i ct che si sono succeduti hanno potuto giungere al termine del loro mandato rispettando tempi e modalità del programma stilato. Poco aiutati anche dalla stampa, che sembra quasi godere nel poter sollevare o alimentare la polemica intorno alla squadra e al movimento di cui è espressione. Mallett, Brunel, Kirwan… ottimi tecnici, ma troppa pressione, troppi fucili spianati.

ï         Nello specifico: Lovotti sarà il nuovo Lo Cicero?
-          Non accetto questo tipo di confronto. Lovotti è un giocatore che possiede i mezzi per diventare un pilone di livello internazionale. Non deve diventare altro che se stesso. E secondo me lo farà. A patto che abbia voglia di continuare a lavorare, a  sacrificarsi e che abbia la possibilità di giocare tanto. È la fame che aiuta a crescere! E se la fame non ce l’ha. Se quando ti sostituiscono non ti incazzi, se non scendi in campo con l’obiettivo di giocare ogni maledetto minuto, se ti accontenti…

ï         Intende dire che i giovani di oggi, quanto a fame…
-          Beati loro se non ne hanno, o se ne hanno meno di quanta ne abbiamo patita noi, sia chiaro. Ma la gavetta serve. Giocare per un paio di scarpe regalate dal presidente sarà un’immagine anche fuori dal tempo. Ma tutti i grandi atleti sono nati così. Dato molto e ottenendo, all’inizio, poco o niente. Professionisti a 18 anni? Non so… Soldi in tasca per la macchia nuova? Ma…

ï         E Allan apertura?
-          Solo un particolare, che mi è rimasto impresso vedendolo giocare. È uno che sbaglia i piazzati ma mette dentro i drop. Io dico: facciamoli fare più drop! Del resto non mi permetto di parlare. Non è il mio mestiere. Però…

ï         Inghilterra in crisi con la difesa italiana che non contende il possesso e occupa. Può essere la nostra arma in più?
-          Non c’è dubbio. Noi siamo creativi ed è naturale che questa nostra caratteristica si rifletta sul nostro modo di approcciare i problemi. Benissimo quella difesa senza la creazione di ruck. Solo che io sarei andato fino in fondo, e un paio di placcaggi di quelli seri al mediano di mischia li avrei tirati.

ï         Eddie Jones si è scandalizzato
-          Mi dispiace per lui. Quando con Berbizier ct ci inventammo di non opporsi al drive da rimessa laterale molti gridarono al sacrilegio. Oggi tutti ci copiano!

ï         L’Italia vince poco, le squadre italiane vincono poco in campo internazionale. Perché?
-          Risponderò il giorno che mi chiameranno ad allenare una delle due franchigie. Al momento mi limito a registrare il dato oggettivo. Dovrei conoscere l’ambiente dall’interno per suggerire una terapia o indicare una soluzione. Io, quando ne ho, fornisco risposte. Criticare per il gusto di farlo non è nella mia natura.

ï         Molti sostengono che abbia smesso troppo presto di giocare e che a Parigi avrebbero voluto…
-          Che restassi ancora un paio d’anni. È vero. Ma c’erano giovani che meritavano spazio, ai quali era giusto dare strada. Avevano un Mondiale da preparare e occasioni da non perdere. Mi sono comportato di conseguenza.

ï         Un augurio al rugby italiano?
-          Che in tanti si avvicinino a questo sport. Non per moda, ma come atto d’amore.

 

Foto Alfio Guarise