Il nobile, lo studente, il vigile urbano: chi erano i primi azzurri del 1929
Di Elvis Lucchese
Il 1929 è un anno cruciale per il rugby italiano. Per due stagioni si sono susseguiti eventi promozionali con una buona risposta di pubblico ed è venuto ora il momento del primo campionato, al quale aderiscono sei squadre. Presieduta da una figura di un certo rilievo politico come Giorgio Vaccaro, la Fir nata il 28 settembre ‘28 si muove anche per il varo della Nazionale. L’appuntamento inizialmente in agenda è la sfida con la Cecoslovacchia a Roma il 28 aprile, slittata poi al 5 maggio a Napoli e infine annullata per la rinuncia degli avversari.
Ma per i pionieri italiani si presenta un’occasione prestigiosa. In coincidenza con l’Esposizione Universale Barcellona inaugura lo stadio di Montjuïc, allora il più grande in Europa dopo Wembley, e gli organizzatori hanno pensato ad un’esibizione con il pallone ovale di contorno al big match di calcio fra una selezione catalana e i Bolton Wanderers detentori della Coppa d’Inghilterra. Il debutto degli azzurri del rugby, il 20 maggio 1929, avviene così di fronte a 63mila spettatori, fra i quali il re di Spagna Alfonso XIII° e il presidente del Cio, Henri de Baillet-Latour… in febbrile attesa della partita del già popolarissimo football.
Ma chi sono i ragazzi che vestono per la prima volta nella storia la maglia azzurra? Chiamato alla guida della Nazionale, il tecnico gallese della Lazio John Thomas ha dovuto fare i conti con diverse defezioni per impegni sia militari che lavorativi e di studio. Dei più quotati del momento danno forfait Giuseppe Bigi, Ernesto Nathan e Mario Campagna.
Thomas e il “team manager” Arnaldo Cortesi chiamano milanesi e romani che stanno dominando il campionato, più due bresciani e un padovano fra coloro che si dichiarano arruolabili. Torinese invece il capitano, scelta scontata considerato che Domenico Dondana è l’unico ad avere una qualche esperienza di rugby vero, avendo giocato in Francia quando era emigrato. Lyon Olympique Universitaire e Lyonnais i suoi club, dichiara in un’intervista. Nativo di Aosta, di mestiere operaio elettricista, ha già 38 anni e gioca con qualche francese nel Michelin, squadra dello stabilimento torinese del noto marchio di pneumatici. Viene schierato con la maglia numero 1, cioè quella allora di estremo.
Nella linea dei trequarti due dei quattro fratelli Vinci, Paolo e Francesco che nel dopoguerra diventerà anche tecnico della Nazionale. Piero, che viene schierato apertura, non ha ancora compiuto 17 anni; Eugenio detto “Gegè” entra nel secondo tempo al posto di Dondana. Figli di un importante diplomatico, i Vinci, detti “i moschettieri”, appartengono alla classe più agiata della capitale e fuoriusciti dalla Lazio fonderanno la Rugby Roma. Francesco sceglierà la carriera militare in ambito Nato, Paolo giungerà ad essere ambasciatore a Mosca e rappresentante italiano presso le Nazioni Unite. Completa il reparto Giovanni Dora, pioniere della Leonessa Brescia.
La seconda ala è il velocissimo Lucio Cesani (Luciano all’anagrafe): nativo di Vimercate, è stato campione italiano juniores nei 100 metri e discreto calciatore e alpinista. Di professione meccanico, diviene uno dei primi rugbisti noti al grande pubblico quando la Gazzetta dello Sport nel ’35 gli dedica un numero della collana “I campioni del giorno”.
Nella linea mediana il secondo bresciano della comitiva, Umberto Modonesi. Nel 1966 esordirà in azzurro suo figlio Luciano alias “Cochi”.
Sangue blu in terza linea. Di nobili origini il romano Carlo Raffo, che aveva cominciato con il pugilato, fonderà la Roma con i Vinci e sarà in grado di vincere tutti e quattro gli scudetti bianconeri, l’ultimo a 45 anni. Figlio del colonnello Alessandro, primo presidente dell’Amatori, l’anconetano Piero Paselli nel 1928 ha pubblicato il manuale “Il gioco del rugby” e sarà fra i più attivi divulgatori della palla ovale dell’anteguerra. Si laurea a Milano in Chimica. Note polemiche del carattere lo porteranno nel ‘33 ad abbandonare la Nazionale di cui è capitano e a rompere con l’Amatori, fondando con altri transfughi i Bersaglieri.
Poco si sa invece della terza linea della Lazio Aldo Balducci, chiamato sui giornali anche Alfredo e persino Anacleto. Nella ripresa viene sostituito dal padovano Giovanni Paolin, vigile urbano, altro boxeur dilettante (medio massimo e maestro del Circolo Pugilistico della sua città). Come Balducci, anche Paolin finirà nell’anonimato e quella di Barcellona rimarrà per entrambi l’unica presenza in azzurro.
Le torri sono milanesi. Enrico Allevi, classe 1902, risiede nel quartiere popolare di Porto di Mare. Attivista del Partito Comunista dal 1935, prende parte alla Resistenza con il nome di battaglia “Orazio”. Muore il 3 maggio 1945 per una malattia contratta nel periodo della clandestinità. Ha lasciato l’Amatori nel ’33 dopo cinque scudetti vinti in coppia con il coetaneo Vittorio Barzaghi; nella corazzata milanese si vedrà anche il fratello minore Cesare.
La prima linea di Montjuïc vede al tallonaggio il romano Tommaso Altissimi, infermiere. Ben piantato, a dispetto del nome non svetta per statura: è un metro e 64. E’ il primo a fare un’esperienza in Francia, giocando nel 1930 con il Red Star di Parigi. Nel secondo tempo ad Altissimi subentra Armando Nisti, destinato a diventare figura chiave del movimento capitolino. Si parlerà a lungo anche del pilone varesino Luigi Bricchi, ragioniere, già attivo nel getto del peso e ovviamente nel pugilato (ne porta i segni sul naso, sfigurato). La passione lo condurrà a diventare ct della Nazionale e figura di riferimento degli anni Trenta. L’altro pilone è il diciottenne Ottavio Bottonelli, nativo di Cavriglia nel Vardarno, che nel tempo si specializzerà nei calci piazzati divenendo uno dei più prolifici marcatori del campionato. Operaio tornitore, si arruola in Marina e durante una trasferta di servizio gioca anche con il Guf Napoli. Chiamato alle armi come sommergibilista, ottiene due Croci di Guerra per il valore in combattimento. Nel ’43 di stanza all’Arsenale di Venezia si unisce al Padova.
La sfida è diretta da un grande nome francese, Gilbert Brutus, già arbitro di due finali dello championnat e allenatore del Quillan che vince il titolo in quella stessa stagione. Sarà selezionatore della Francia negli anni Trenta. Massone, aderisce all’Armée Secrète; arrestato a torturato dalla Gestapo, muore a Perpignan forse per suicidio nel ’44.
Di quei ragazzi ha raccontato Mario Nicola in un articolo sulla Gazzetta dello Sport del 28 maggio 1929, “A zonzo con i rugbisti azzurri”. Il giornalista aveva viaggiato con la comitiva nel piroscafo Duilio da Genova a Barcellona. «Il più distinto è stato Paselli, dalla irreprensibile cura della propria persona, dal fare compito ed elegante. Il poliglotta della compagnia era poi Vinci I. Spagnolo, inglese, francese: fu di utilità davvero rimarchevole. Non mancavano i tipi ameni. Dal bresciano Miglioratti (accompagnatore, ndr) che dopo un “fioretto” di non bere vino fino al match si è ripagato lunedì sera… a misura e senza misura, alla giovane coppia Vinci II-Bottonelli che regalarono i loro distintivi alle graziose mercatine… in cambio di 15 banane cadauno. Il più serio è stato il capitano, Dondana. Di poche parole, da piemontese, ma tutte di senno. Non vogliamo comunque approfondire se egli abbia mantenuto la stessa serietà la notte di lunedì, allorchè al grande bar Oriente l’abbiamo visto in concitato colloquio, unitamente al gioviale Bricchi, con una mulatta di Portorico!»
L’Italia fu sconfitta 9-0. E per completare la festa di Barcellona nel calcio i catalani batterono il Bolton 4-0, con una porta ben custodita dalla stella Ricardo Zamora.
Elvis Lucchese, storico dello sport, è autore di “Pionieri. Le origini del rugby in Italia. 1910-1945“, Piazza Editore.