Appunti di storia: la via italiana al dilettantismo - Parte 2
Di Elvis Lucchese
Mentre il rugby italiano si era fino ad allora ispirato al modello francese, nel dopoguerra la Fir dei presidenti Aldo Galletto e Mauro Lais sta provando a stringere legami con i britannico, autentici maestri del gioco e severi custodi della tradizione. Nel 1950 ci si rivolge alla Union inglese con la richiesta di un tecnico full time per lo sviluppo del gioco nella penisola. Ma il “committee” risponde negativamente, poichè «the employment of paid coaches or trainers was contrary to the principles of amateur Rugby Football».
Dopo il caso Battaglini e consumato lo scisma del XIII, per almeno un paio di decenni il principale paradigma di reclutamento si fonderà sulle capacità di promozione sociale dei club, sull’attrattiva cioè di offrire un posto di lavoro (anche con prospettive post carriera) e condizioni agevolate per la pratica sportiva. Padova sarà la società più competente nell’attuare questo circolo virtuale in città, fin dall’inizio: già nei primi anni Cinquanta per assicurarsene il talento - e per irrobustirne il fisico - il giovane Ciano Luise viene raccomandato nella cucina della birreria Itala Pilsen di piazza Insurrezione. Grazie alla figura illuminata di Memo Geremia e forte della rete degli ex allievi del collegio Antonianum, il Petrarca farà valere questo sistema come sfondo alla lunga scia di scudetti aperta nel 1970.
Ma la leva di atleti può seguire percorsi del tutto estemporanei. L’australiano John Cootes onora dei suoi servigi la Lazio negli anni Sessanta, trovandosi a Roma per affari: è seminarista al Propaganda Fide di Piazza di Spagna. Padre Cootes si laureerà campione del mondo di League nel ’70, prima di dismettere l’abito talare e diventare un popolare personaggio televisivo in patria.
L'Erasmus
Quando arrivano i primi neozelandesi, si tratta per loro di una specie di Erasmus. Ci si accorda via fax sapendo i club poco o nulla del giocatore, e questi tanto meno della sua destinazione. Il rimborso è standard: un mensile di un migliaio di dollari neozelandesi (lo stipendio di un operaio), appartamento, auto, pasti in trattoria e biglietto a/r, in qualche caso come bonus “ticket for your fiancé”.
L’arrivo di più facoltosi sponsor di maglia
L’arrivo di più facoltosi sponsor di maglia, complice una fiscalità allegra, renderà poi il campionato italiano nella posizione di importare prima buoni e ottimi giocatori dell’emisfero sud (lì è estate e non si gioca) e quindi da metà anni Ottanta quanto di meglio offrano Nuova Zelanda, Sud Africa e Australia, in abbinamento con tecnici di altissimo livello. Nel campionato 1991-1992 vinto dal Benetton allenato da Pierre Villepreux, Treviso può contare su Michael Lynagh, Rovigo su Naas Botha, Milano su David Campese… Ma vere stelle passano anche da piccoli club. Zinzan Brooke veste le maglia di Lazio e Casale sul Sile, David Knox dopo il Petrarca accetta anche gli ingaggi di Livorno, Bergamo e Paganica, il centro campione del mondo con gli All Black Warwick Taylor va a Mestre in serie C.
The “Italian Circus”
Il fenomeno soprannominato “Italian Circus” desta irritazione all’estero. Arrivano i moniti dell’International Board. «Attenti, voi italiani siete poco dilettanti» titola la Gazzetta nell’88 con le parole del segretario Bob Weighill. Il rugby azzurro, afferma Weighill, «sta violando tutti i principi amatoriali e sta camminando sul filo del rasoio». Pena l’esclusione dallo scacchiere internazionale «deve rispettare le nostre regole».
In realtà il rapporto con i soldi sta cambiando rapidamente in tutto il mondo ovale. Anche l’Inghilterra ha accettato nel 1987 il varo di un campionato nazionale e Buck Shelford, prima di arrivare Roma, ha trascorso tre stagioni nel Northampton. Nell’emisfero sud si parla ormai da tempo di un rugby open per sostenere la concorrenza del League, mentre i media premono per un maggior numero di partite e un gioco più televisivo. Con buona pace di Weighill, la rivoluzione del professionismo è già in atto. Quando nel 1991 Will Carling dichiara di essere il primo milionario della palla ovale, David Campese ribatte di esserlo diventato cinque anni prima grazie a quanto guadagnato nel paese dei suoi nonni (soprattutto grazie al Mediolanum di Berlusconi). Quando nel settembre ’92 la popolare rivista “Rugby World” dedica un ampio servizio alla realtà del “circus” italiano e ai compensi sotto banco, il focus è sulle proteste dall’Argentina di cui i nostri club stanno dragando i vivai. Ma i toni sono di accettazione senza moralismi. Ormai così fan tutti. Ufficialmente l’Internation Board abroga l’ipocrisia del dilettantismo il 27 agosto 1995, dopo che le federazioni di Sud Africa, Nuova Zelanda e Australia avevano già firmato un contratto da 550 milioni di dollari per dieci anni con la News Corporation di Rupert Murdoch.
Elvis Lucchese, storico dello sport, è autore di “Pionieri. Le origini del rugby in Italia, 1910-1945”, Piazza Editore.