Un anno di rugby italiano: ecco cosa ci ha lasciato il 2017
Li fanno tutti, proviamoci anche noi. Bella roba, i bilanci. Metti in una colonna le cose che sono andate come ti aspettavi, in un’altra quelle che si sono risolte molto al di sotto delle aspettative, in una terza quelle che avevi sottostimato negli esiti e che invece si sono rivelate gradite e positive evidenze, e nell’ultima i colpi di culo. Tiri una riga, fai le somme e alla fine classifichi l’anno di riferimento: fra quelli da dimenticare, fra quelli da ricordare, fra quelli, se possibile, da replicare. Tutto qua.
Capitolo Sei Nazioni: quello del 2017, sarà ricordato (da noi e da qualche inglese ancora offeso per l’affronto), come “quello della Fox”, l’applicazione letterale del regolamento che, in assenza di contesa sul punto d’incontro annulla ogni linea di fuorigioco e crea, nel sistema di attacco avversario, più di qualche problema. Di forma, a ben vedere (perché anche un bimbo lo capirebbe, se una squadra è assente nella zona di collisione è lì che può e deve essere colpita) ma anche un poco di sostanza. La partita è poi finita 36-15 per loro, ma a sentire certi commenti, per qualcuno è stata una mezza vittoria abbondante. Per gente che sostiene di avere “un po’” vinto anche la seconda guerra mondiale, niente di nuovo sotto il sole. Però resta il fatto di un Torneo giocato in assoluta retroguardia, nonostante uno staff tecnico di una qualità complessiva che non ha precedenti nella nostra avventura nel salotto buono del rugby europeo. Avventura, sia detto a uso di chi, forse, non lo sa o non se lo ricorda, un paio di volte siamo stati capaci di chiudere al quarto posto. Negli anni in cui, secondo l’attuale Ct e il capitano, il rugby italiano non ne imbroccava una di giusta e di fatta bene. Pettinava le bambole, o poco più.
Capitolo rugby domestico: in vetta ci sono il Calvisano del presidente Vaccari fra gli uomini di Eccellenza e il Valsugana di coach Nicola Bezzati fra le donne. Un centro di 9mila abitanti e un quartiere periferico di Padova in cima alle graduatorie tricolori. I primi capaci di intercettare e valorizzare il meglio della nostra gioventù, le seconde indiscutibilmente e oggettivamente superiori alla concorrenza, con la novità Colorno meritatamente in finale. Da segnalare il ritorno nella massima divisione di Firenze, targata Medicei e guidata da Pasquale Presutti. Cifra tecnica complessiva del campionato bassina, pubblico scarso, stranieri di terza o quarta fascia. Ma questo abbiamo, facciamocene una ragione.
Capitolo Test match: tre sconfitte in giugno sotto l’equatore (Scozia, Fiji, Australia), due a novembre in casa (Argentina, Sud Africa), con un unico successo su Fiji a Catania. I bilanci numerici, peraltro noti a tutti, meglio evitarli. Resta il dato di una squadra che, quando il livello della competizione si alza davvero (poco o tanto non fa alcuna differenza), scompare, al massimo tiene botta per un po’ e poi si arrende. Nessuna responsabilità specifica alla conduzione tecnica (bischerate in conferenza stampa a parte), resta il fatto che la media dei nostri giocatori risulta inadeguata a certe sfide. Almeno per il momento.
Capitolo sorpresa 1: l’under 20 che al Mondiale di categoria batte l’Irlanda e chiude ottava, davanti a Irlanda, Georgia e Argentina, nell’edizione che ha sancito la retrocessione di Samoa. Dopo anni di salvezza conquistata all’ultima spiaggia, una boccata di ossigeno che premia il gruppo e chi li ha allenati.
Capitolo soepresa 2: il dato dei tesserati Fir dice che le categorie del settore Propaganda sono in costante aumento. Il dato ci regala scampoli di sorriso, e ci dice che, forse, una via che conduca a una profonda riqualificazione del movimento c’è. Perché è bene essere chiari fino in fondo: il numero crescente dei praticanti forse non è condizione indispensabile per il miglioramento del vertice, ma con numeri ristretti il vertice, sicuramente, non decollerà. Mai.
Capitolo copertura mediatica: Nazionale a parte, i centimetri ovali sulla carta stampata sono sempre meno. Onore a Il Gazzettino e ai colleghi Liviero, Malfatto e Grosso, che il lunedì ci regalano un’intera pagina dedicata. La Rai di rugby, semplicemente, non ne vuol neanche sentir parlare, Sky ha scoperto che quello italiano (dati audience) non se lo fila nessuno, perciò sia dato atto a DMax e a Rugby Channel di offrire quello che all’emettente di Stato non interessa neanche di striscio (leggasi: gratis).
Conclusioni: anche con vagonate di giustificata e ammirevole buona volontà, difficile non mandare in archivio questo 2017 con la dicitura “negativo” stampigliata in rosso sulla copertina del faldone. Evito di accodarmi al corteo di chi, di questi tempi, a qualche giro di lancetta dai botti del 31.12, si avventura in letture del futuro prossimo. Lanciando pronostici e prefigurando scenari. Non è il mio mestiere, quindi ve lo risparmio.
Però posso dire con certezza come comincerò, bene, il 2018. In compagnia del mio amico Silvano Babetto andrò a Milano a trovare il Cabrio. Uno che la partita più importante della sua carriera l’ha vinta da grande, anni dopo aver appeso le scarpe al chiodo. E che ha assorbito, come solo i grandi sanno fare, un placcaggio che avrebbe steso chiunque e per sempre. Non l’ha fatto da solo, ma con il sostegno di chi questo gioco lo pratica ogni giorno e ogni notte, fin dopo l'orario di chiusura di pub, officine e osterie. Una razza di uomini e di compagni di squadra che fa della famiglia ovale una cosa assolutamente unica. E ripetibile, voglio sinceramente sperare.
Buon anno a tutti.