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Alfredo Gavazzi, per il 2015, augura a Jacques Brunel e al rugby italiano la qualificazione ai quarti di finale della Coppa del Mondo. “Ma non sarà facile – dice – perché  la Francia è la Francia e l’Irlanda è uscita dal 2014 come una delle squadre più forti del momento”.

Quanto vale passare il primo turno ai Mondiali?

“Non così tanto come vincere due partite al Sei Nazioni – osserva il presidente - però dal punto di vista dell’immagine sarebbe straordinario. Nel Sei Nazioni, in base alla ripartizione vigente delle quote, tra il quinto e il sesto posto alla fine del Torneo, c’è una differenza di circa novecentomila €. Arrivare quarti, o addirittura terzi, significherebbe incassare ancora di più. Però il passaggio del turno ai Mondiali avrebbe un grande significato, per la vetrina che la competizione rappresenta”.

Altri sogni nel cassetto?
“Il raccolto di quello che ho seminato in questi due anni non sarà pronto nel 2015, è troppo presto, ci vorrà ancora un po’.  Mi piacerebbe che migliorassero i risultati delle nazionali giovanili, che potessimo avere una nuova sede dove lavorare meglio, mi auguro che il Mondiale U20 sia un’efficace azione di marketing per promuovere il rugby sul nostro territorio. Diciamo che mi fermo qua”.

Certo i due anni trascorsi alla guida della Fir non sono stati rose e fiori per Alfredo Gavazzi che si è scontrato con un’opposizione molto forte, soprattutto in Veneto.

All’ordine del giorno delle discussioni ci sono le Accademie Federali, troppe e troppo costose per qualcuno, i risultati della Nazionale, quelli delle franchigie, quelli delle selezioni juniores. E poi l’acquisto della sede, l’organizzazione dei Mondiali U20 in un’area geografica giudicata troppo ridotta rispetto alle dimensioni del paese…

Ma alla base di tutto c’è la dimensione provinciale e campanilistica di un movimento che non produce risorse private e si affida esclusivamente ai fondi federali per la propria crescita.  Da qui una litigiosità altissima che in realtà è competizione per assicurarsi ciascuno, club, giocatori, allenatori, comitati regionali, dirigenti e tecnici, una quota  di quel budget che è per molte realtà l’unica garanzia di sopravvivenza, oggi e per il futuro.

La storia della partecipazione italiana alla Celtic League da questo punto di vista è esemplare. Abbracciata per dar al movimento italiano uno sbocco professionistico, ha dimostrato finora nient’altro che l’impossibilità, o l’incapacità, del nostro rugby di produrre realtà autosufficienti, dal punto di vista della raccolta di risorse, di pubblico, di sponsor etc.

 

Il risultato è che a quattro anni di distanza dal loro debutto nel torneo, la squadre italiane devono essere interamente (o quasi) sovvenzionate dalla federazione che deve così destinare al progetto, un quinto  dell’intero bilancio, peraltro con i risultati che vediamo. La centesima partita del Treviso in Heineken Cup (a Northampton, 0-67) è stata imbarazzante.

In uno dei punti del suo programma elettorale, Alfredo Gavazzi aveva messo come obiettivo la creazione di una scuola tecnica italiana. “Ci stiamo lavorando – diceoggi il presidente – ma dobbiamo investire di più, per creare un maggior numero di allenatori, però ora le due franchigie hanno entrambe staff italiani, un impegno che avevo definito prioritario. E quando parlo di staff intendo anche manager e dirigenti”.

Resta altissimo, però, in particolare a Treviso, l’utilizzo di giocatori stranieri, peraltro nemmeno di qualità. Un fatto che Jacques Brunel, quando può, non manca di rimarcare. A questo punto se il finanziamento di Treviso e Zebre è centrale, tanto vale che lo sia anche il controllo tecnico. La collaborazione tra Brunel e le due formazioni del Pro12 dicono sia migliorata. Ma serve un passo in più: le due squadre, visto come vanno le cose devono rispondere direttamente al coach della Nazionale, non solo nel corso della stagione, ma anche d’estate nel momento della scelta dei giocatori, della loro promozione dalle accademie. Altrimenti sono inutili.

 Di Gianluca Barca - Allrugby mensile

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