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Siamo alla vigilia di un ennesimo Sei Nazioni davvero preoccupante per la Nazionale Azzurra. Mai come quest’anno il livello delle avversarie sembra essere più alto del solito, ciò è naturale visto che a settembre ci si gioca il titolo mondiale alla Rugby World Cup in Giappone. Le grandi Nazionali fanno così: si organizzano, allargano la rosa, crescono e alzano il livello nei due anni precedenti la manifestazione. L’Italia ancora una volta sembra un passo dietro le altre cinque, probabilmente due rispetto a Irlanda, Galles e Inghilterra. Inoltre le indisponibilità di alcuni gioielli del rugby made in Italy quali Minozzi, Bellini, Polledri e Sarto (è rientrato in campo solo da qualche settimana ndr) non fanno che penalizzare un’Italrugby che secondo i maligni potrebbe conquistare il 13° cucchiaio di legno in 20 partecipazioni.
Ad analizzare la situazione in casa nostra è Vittorio Munari da Trend & Moda, l’ex Direttore Sportivo del Benetton, oggi commentatore di DMax, è schietto:

Cosa si aspetta dall’Italia in questo Sei Nazioni?

“Quando una persona, in ogni sua attività, dà il meglio di sé, ha già fatto il massimo. Mi aspetto questo dalla nostra nazionale. Poi, se ti confronti con uno migliore di te che dà il massimo, c’è poco da fare. Chi gioca con l’Italia è chiamato a “morire in campo”. Qualsiasi cosa meno del 100% non va bene. Lo sanno anche i nostri ragazzi, ma sono sicuro che in campo daranno l’anima.”

 

E riguardo al lavoro di Conor O’Shea?

“L’allenatore fa con quello che può con quello che ha, e neanche lo può dire perché sennò ammazza la voglia di lottare di ragazzi che, pur non avendo grandissime qualità, in campo si impegnano sul serio. Dobbiamo, però, finirla di raccontarci una storia diversa dalla realtà e, quindi, si deve evitare di mancare di rispetto all’intelligenza della gente. Noi siamo un gradino sotto.”

 

Riguardo alle assenze di Minozzi, Bellini, Polledri e Sarto.

“Gli infortuni sono fisiologici, fanno parte del gioco del rugby. E’ chiaro che nella nostra condizione hanno una certa rilevanza. Non abbiamo una così vasta scelta, soprattutto in termini di competitività. E’ tutta qui la differenza con le altre squadre. Pensiamo all’Inghilterra, che a novembre ha giocato con gli All Blacks senza 13 giocatori di prima scelta e per poco non faceva il colpaccio.”

 

Cosa serve al Rugby italiano per rialzarsi da questa situazione?

“Costruire un prodotto di qualità. Solo questo. Si deve ripartire dal rugby di base, dalla costruzione di un movimento. Criticare il giocatore è come quando la società civile critica i giovani, come se questi ultimi non fossero frutto della generazione precedente. Chi deve essere formato nel rugby italiano sono i dirigenti, gli arbitri e gli allenatori. Senza questo passaggio è inutile prendersela con chi va in campo.”

 

L’Italia cresce troppo a rilento o sono gli altri che vanno troppo veloci?

“Noi battevamo l’Irlanda, la Scozia, la Francia nel 1998. Dopo di che non abbiamo mai avuto una precisa strategia di crescita, si è andati avanti alla cieca. Quello che più mi addolora è la mancanza di cultura e conoscenza che c’è nel rugby italiano.”

 

La conclusione di Vittorio Munari da Trend & Moda:

“Dal 2000 è scomparsa Catania, era già scomparsa Napoli con la Partenope, Benevento in chiarissima difficoltà, è scomparsa L’Aquila e adesso sta scomparendo Roma. Il rugby italiano, se togli il Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna ha chiuso. Si deve prendere atto che qualcosa non va. Il rugby italiano sta morendo, è sotto gli occhi di tutti. Vado spesso in giro per i club di tutte le regioni e trovo un disastro ovunque mi reco. Si fanno eventi per raccogliere soldi per pagare le bollette. Ad allenare i ragazzini ci sono genitori pieni di buona volontà ma senza il bagaglio tecnico giusto, e intorno a loro non c’è praticamente nulla. In questa maniera come fanno a uscire fuori i giocatori?”.

 

 

Il calendario del 6 Nazioni 2019

Foto Instagram Vittorio Munari

 

 

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