Italia al 6 Nazioni: Gonzalo Quesada “non c'è tempo per fare rivoluzioni”
“I Pumas? Club, Franchigia e Nazionale lavorano strettamente”
Tre settimane all’inizio del 6 Nazioni di rugby. L’Italia affronterà il torneo con alla guida un nuovo CT, Gonzalo Quesada, affiancato da un paio di nuove figure, German Fernandez (allenatore dei break down), Philippe Doussy (allenatore delle skills) e Michele Colosio (capo preparatore atletico). C’è curiosità e aspettative nel vedere all’opera uno degli allenatori più quotati al mondo seppur alla prima esperienza da capo allenatore di una nazionale. Conosciamo meglio Gonzalo Quesada attraverso le risposte alle domande di Paolo Ricci Bitti dal Messaggero:
Ha ricordi lieti legati ai rugbysti italiani?
Un'infinità. Allo Stade Français ho giocato con Mauro e Mirco Bergamasco, grandi talenti. Di più, con loro ho comprato casa e ci siamo ritrovati vicini, ci divideva un muro. Così ho conosciuto anche il papa Arturo e altri familiari dei fratelli: sono nate grandi amicizie. E poi il mio capitano quando ho allenato lo Stade era Sergio Parisse, un fenomeno e un grande amico. Al Racing 92 ho allenato i grandi Andrea Lo Cicero e Santiago Dellapè. E ho frequentato, sempre a Parigi, Martin Castrogiovanni, quando giocava al Racing e io allenavo lo Stade.
Ora una nuova sfida, su una delle panchine più complicate al mondo, quella dell’Italia, ultima tra le grandi del Tier 1.
Allenare gli azzurri rappresenta per me una sfida formidabile, affascinante e sono onorato della fiducia che il presidente della Fir, Marzio Innocenti, mi ha concesso permettendomi di misurarmi con la responsabilità, per me inedita, di allenare una nazionale.
Al 6 Nazioni la prima sarà contro l’Inghilterra, terza all’ultimo Mondiale di Francia.
Faremo il massimo: abbiamo grande ambizione, ma anche piedi per terra, pronostici non ne faccio. I primi passi non possono che essere nel segno della continuità, non c'è tempo per fare rivoluzioni, ma stiamo già seminando i concetti delle strategie che contribuiranno a dare un'identità alla nazionale. Che non è la mia identità, ma quella che insieme ai giocatori decideremo di costruire in base al gioco che imposteremo e che sarà legato alle nostre virtù e ai nostri limiti. Di certo vedrete una nuova strategia di gioco, ci sarà un'evoluzione nelle nostre strutture di "uscite di campo" (difesa) e in quelle di attacco.
Italia e Argentina negli anni 90 erano squadre allo stesso livello, a Piacenza nel ’98 l’Italia vinse contro i Pumas, Quesada era titolare davanti a Dominguez. L’Argentina negli anni 2000 è cresciuta tantissimo, 3° posto nel 2007 e poi una serie di successi fino all’entrata nel Quattro Nazioni nel 2012. Cosa ha sbagliato il sistema italiano?
Evidentemente non c'è stato un ricambio generazionale dopo l'avvento del professionismo, ma non conosco la realtà italiana dei primi anni duemila. In Argentina si è costruita una via virtuosa che collega strettamente Club, Franchigia e Nazionale. Me ne occuperò anche in Italia partendo proprio dai club che con l'aiuto della federazione devono essere forti e allargare la base dei praticanti, mentre le franchigie - come in Argentina per i Jaguares - sono l'opportunità per avvicinare i migliori giocatori al livello internazionale.