Solo 4 squadre del Tier 2 ai Quarti in 10 edizioni del Mondiale
World Rugby vuol davvero fare crescere chi non è nei Tier 1?
Con l'eliminazione dell'Australia restano solo tre le nazionali sempre qualificate ai quarti di finale della Coppa del mondo: Nuova Zelanda, Francia (10 edizioni) e Sudafrica (8 edizioni, le prime non c'era per l'Apartheid).
ANOMALIA ITALIA - Fra le altre sei nazionali di Tier 1 l'Inghilterra ha fallito la qualificazione solo nel Mondiale casalingo 2015, l'Irlanda 2 volte (1999, 2007), 3 volte il Galles (1991, 1995, 2007) e la Scozia (2011, 2019, 2023), 5 volte l'Argentina (1987, 1991, 1995, 2003, 2019). L'Italia è l'unica a questo livello a non essersi mai qualificata, 10 eliminazioni su 10. Un'anomalia che prova come la nostra Nazionale e il suo movimento siano formalmente ed economicamente di Tier 1 (partecipazione e introiti del Sei Nazioni), ma tecnicamente di Tier 2.
LE 4 ECCEZIONI - Al Tier 2 appartengono tutte le altre nazionali che non partecipano a Sei Nazioni e Championship. Solo 4 di esse si sono qualificate ai quarti di finale in 10 edizioni. Le Isole Fiji tre volte (1987, a spese proprio dell'Italia, 2007, 2023), le Samoa due (1991, 1995), il Giappone una nell'edizione casalinga 2019 e una il Canada nell'era pre-professionisti (1991).
TROPPO POCO - In tutto solo 13 nazionali in 36 anni di rugby sono riuscite a entrare nelle top 8, nell'élite mondiale. E di 80 posti complessivi ai quarti di finale ben 73 sono finiti a squadre di Tier 1 e solo 7 a squadre di Tier 2. Troppo poco per giudicare un successo la politica di World Rugby (se mai c'è stata) di far crescere il livello nei Paesi minori.
BEAUMONT PROMETTE - Le parole del presidente della federazione mondiale Bill Beaumont a commento della prima fase della Coppa vanno proprio in tale direzione: «Noi dobbiamo, e vogliamo, fare di tutto per garantire sicure opportunità di competizioni ad alto livello a team come Portogallo, Samoa, Tonga, Uruguay, Cile, Georgia che sono stati eliminati, ma non saranno dimenticati. Sono centrali nelle nostre discussioni di un rinnovato calendario internazionale di cui dovranno beneficiare la maggior parte, e non i pochi».
Sarà vero? Trentasei anni di Coppa del mondo di rugby dicono il contrario. O dimostrano, comunque, che il processo di crescita è ancora troppo circoscritto e lento.