Darrel Eigner l’allenatore dopo le 18.00
Arbitri: “In Coppa giochiamo mediamente 10 in più (tempo effettivo) che in campionato”
Darrel Eigner, 39 anni a settembre, sudafricano da 17 anni in Italia. Uno che un lavoro “vero”, oltre il rugby, ce l’ha. Dalle 9 alle 17.30, cinque giorni a settimana, impiegato presso una ditta di spedizioni. “Il rugby? Dalle 18 in poi” spiega. È alla sua prima stagione da capo allenatore sulla panchina del Mogliano, il club trevigiano del cui settore giovanile molto, e con risultati apprezzabili, si è occupato per il passato.
ï Dopo la vittoria di Reggio Emilia il campionato del Mogliano ha cambiato prospettive?
- È presto per dirlo. Puntavamo a uno dei quattro posti nella griglia play off. I nostri obiettivi strategici non sono cambiati. A Reggio ho visto tracce interessanti di quella continuità di gioco che vado predicando da inizio stagione e che qualche volta è mancata. Parlerei di segnali positivi, incoraggianti.
ï Segnali positivi di che tipo?
- La gestione del gioco al piede finalmente oculata, rigorosa ed efficace. Mogliano è una formazione che ha nel proprio dna il gioco alla mano. Sempre e comunque, anche quando le situazioni suggerirebbero dell’altro. Ma il gioco al largo cercato con tanta determinazione e ostinazione, non sempre paga. Pare l’abbiamo capito. Restiamo una squadra con troppi alti e bassi, ma ci stiamo attrezzando per diventare più lineari e concreti.
ï Ottimista, a otto giornate dalla fine della stagione regolare?
- Sì. La classifica è corta, ci sono quattro squadre in quattro punti (San Donà, Viadana, Fiamme Oro e Mogliano, ndr), e 40 punti ancora da assegnare
ï A quanto pensa si possa situare la soglia della qualificazione?
- Non sono bravo in questo tipo di calcoli. Ma soprattutto non ci voglio neanche provare. La mia più immediata preoccupazione, adesso, è la partita con il Calvisano del 4 marzo. Giochiamo in casa…
ï Puntate a vincerla?
- Quale altro obiettivo potrebbe darsi una squadra che scende in campo per giocare? Prenderne pochi? Certo che puntiamo a vincere, e ce la metteremo tutta per riuscirci. Di sicuro ci proveremo!
ï Ma il Calvisano è davvero un gradino sopra il resto della concorrenza?
- Non devo dirlo io. È la classifica che dice di 53 punti portati a casa sui 55 disponibili. Se non è un gradino questo…
ï Rovigo e Petrarca?
- Due ottime squadre, entrambe, contrariamente al Mogliano, con una rosa ampia. In grado di assorbire infortuni senza abbassare di troppo lo standard di rendimento.
ï Potranno creare problemi al Calvisano?
- Sicuramente sì. Rovigo, quando vuole, quando tutto gira come deve girare, è in grado di battere chiunque. Poi magari si ferma a San Donà, è vero. Ma quella partita, vorrei fosse chiaro, l’ha vinta San Donà, e con pieno merito. Nessuno ha fatto regali.
ï E il Petrarca di Cavinato?
- Non so dire se sia o meno più attrezzato di Rovigo. Ma gioca un buon rugby, ha ottime individualità e un’organizzazione di gioco in grado di fare la differenza.
ï A proposito di gioco, ma che rugby si gioca in Eccellenza?
- Ci sono partite buone, altre un po’ meno. Molto dipende dal minutaggio. Sotto i 30 minuti di gioco effettivo difficile che la sfida decolli, che produca qualità. Più ci avviciniamo ai 40, invece, le cose cambiano. Quanto al tipo di rugby, molto si basa sulla mischia ordinata. Che in pochi considerano una rampa di lancio per lo sviluppo del gioco, preferendo intenderla come un bancomat che fornisce calci di punizione. Piazzabili direttamente o da mandare in rimessa laterale per drive di meta. Questione di scelte. Se gli arbitri aiutassero il gioco invece di…
ï Invece di?
- Non ho rimostranze da fare alla classe arbitrale italiana, sia chiaro. Però è un fatto che nelle partite di Coppa giochiamo mediamente 10 – 12 minuti in più. Siccome la squadra è la stessa… Azzardo che di diverso ci sia il metro di valutazione, i criteri di intervento e di interruzione del gioco. La mischia che collassa, per esempio…
ï La mischia che collassa, quindi?
- Si era detto, gli arbitri ci avevano detto a inizio stagione, che con palla giocabile avrebbero fatto proseguire il gioco.
ï E così è stato.
- Non sempre, purtroppo. E questo anche se gli arbitri buoni non mancano.
ï Cambiamo tavolo: che Sei Nazioni ha visto finora?
- Un gran bel torneo, con partite davvero interessanti, oltre che spettacolari. E un’Inghilterra a tratti molto vicina alla perfezione. Niente che non fosse prevedibile, comunque. Il Pro 12 dice che le irlandesi sono in cima alla classifica, che le scozzesi stanno andando abbastanza bene e che le gallesi hanno i numeri per ben figurare ogni week end.
ï E che le italiane stanno sul fondo…
- In questo il rugby è una scienza quasi esatta. La partita con l’Irlanda è lo specchio delle differenze di rendimento delle franchigie. Ma sono ottimista.
ï Davvero?
- O’Shea è un tecnico preparato e capace, lo staff che collabora con lui è di altissimo livello. Occorrono tempo e fiducia. Tempo: tutto quello che servirà a far maturare i giovani di qualità di cui il rugby italiano è ricco; fiducia nella bontà della strada intrapresa. L’obiettivo è migliorare. Il materiale c’è, la struttura pure.
ï Anche se…
- Anche se qualcosa non deve aver funzionato come avrebbe dovuto. Mi spiego: l’attuale under 20 è una Nazionale con un alto tasso di talento e di potenzialità. Come lo fu quella di Padovani e Benvenuti (classe ’93, ndr). L’under 20 di quest’anno, che ho visto perdere di un punto a Prato con l’Irlanda, è la stessa che due anni fa sbaragliò quasi tutta la concorrenza europea, più l’Argentina. Non sono sicuro…
ï Di cosa?
- Non sono sicuro che il percorso di formazione di quegli ottimi elementi sia stato adeguato alle loro effettive potenzialità. I giovani di qualità ci sono, occorre che tutto il movimento lavori per ottenere da loro il massimo. Vanno prima di tutto responsabilizzati e devono sentire intorno che tutte le componenti del movimento lavorano insieme, spingono nella stessa direzione. Logistica, dirigenza, allenatori, club, entità territoriali e federazione. Se uno solo molla o si sottrae, è l’intera struttura che rischia di cadere. E sarebbe un vero peccato se succedesse.
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Foto Alfio Guarise