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Vittorioso 32-26 sul Viadana,  il Calvisano, a due giornate dal termine, conserva il primo posto nella regular season. Profilo di Gianluca Guidi che, al primo anno sulla panchina dei gialloneri, si prepara a vivere da protagonista l’appuntamento con i play off. (dal numero 80 di Allrugby)

Da uno che giocando cinque minuti di Francia-Italia a Grenoble, nel 1997, divenne l’icona del match con un passaggio in tuffo che nei giorni successivi finì su chissà quanti giornali, bisogna aspettarsi di tutto.

Anche che si presenti a Calvisano, in un giorno di agosto, lui che è nato e cresciuto a Livorno, dicendo che è  “inutile parlare troppo, perché le parole se le porta via il vento e le biciclette…i livornesi”. A Livorno Gianluca Guidi, è nato e ha giocato (mediano di mischia), stessa squadra di Andrea De Rossi, entrambi approdati dal club toscano alla Nazionale.Oggi uno siede sulla panchina del Rovigo e l’altro su quella del Calvisano. “Ci mancava solo l’arbitro, Liperini, pure lui di Livorno, il giorno di Rovigo-Calvisano – scherza Guidi -: sai che rischi con tanti livornesi in giro…”.

La verità è che Livorno è una delle capitali dello sport italiano. Tra Olimpiadi, campionati del mondo ed europei è la più medagliata d’Italia: 500 volte sul podio, con la famiglia Montano, nella scherma, ai primi posti della lista.

E livornesi sono anche Fabrizio Gaetaniello, estremo della Nazionale degli anni Ottanta, consigliere federale, e poi Massimiliano Allegri, l’ex allenatore del Milan, e Walter Mazzarri. “Ma Mazzarri è di San Vincenzo, è un’altra cosa”, precisa Guidi, nato in un anno importante, il 1968 e grande appassionato di storia: “tutta quella dal Sessantotto in poi – dice -, perché è una storia piena di vicende, di misteri, di segreti non svelati che un giorno dovrò spiegare a mia figlia Veronica e spero di esserne capace”..

Intanto il rugby. “Un rugby fatto di lavoro, perché il lavoro è quello che mi ha insegnato il mio babbo e io ci credo: se lavori,  se fai le cose come si deve, alla fine il tuo impegno paga”. Retorica? “Lo so, qualcuno mi accusa essere un po’ troppo retorico. Fabio Semenzato, quando lo allenavo, appena cominciavo a parlare mi diceva: <<ecco un’altra razione di pane e retorica>>, ma io a certe cose ci credo: al gruppo, all’umiltà, alla motivazioni. Sono arrivato a Calvisano preceduto dalla mia fama:  un testone,  fissato con i giovani. Io invece faccio giocare chi lo merita e la base del mio lavoro sono le motivazioni. C’è chi si impegna perché è giovane e vuole arrivare: in prima squadra, a una franchigia, in Nazionale. E chi lo fa perché deve mantenere la famiglia, i figli. Queste molle fanno una squadra, un gruppo. Quest’anno noi a Calvisano abbiamo avuto assenze, infortuni, ma chi ha giocato non ha mai fatto rimpiangere quelli che mancavano. E questo fa capire la profondità del lavoro, al di là della rosa che hai a disposizione. Tutti quando sono stati chiamati hanno risposto”.

A metà marzo il Calvisano ha completato la sua rincorsa al Rovigo, con una vittoria al Battaglini che ha lasciato i rossoblù a bocca aperta. E’ stata la svolta della stagione? “Potrebbe esserlo soprattutto per noi – analizza Guidi -. Perché ci dà consapevolezze e fiducia nel lavoro svolto. Ma la stagione è ancora lunga e il Rovigo si saprà ritrovare. La piazza è importante, l’entusiasmo della città è altissimo, chiunque vesta quella maglia è portato a dare il 100% e anche di più. Sarà una lotta dura fino alla fine e comunque bisogna stare molto attenti a dire Rovigo e Calvisano perché ai play off chiunque può rientrare in corsa”.

Come è stato l’impatto con Calvisano, un piccolo paese, molto stretto intorno al rugby, per un allenatore sanguigno, pieno di passione ma  che fin qui aveva solo un curriculum federale?

“Ovviamente sentivo la responsabilità di chi arriva all’Eccellenza avendo alle spalle un percorso di allenatore Fir, come quello che sta compiendo Alessandro Troncon, come Fabio Roselli. Ho avuto la fortuna però di arrivare in un club eccezionale per organizzazione e strutture, in un ambiente dove, fin dall’inizio ho cercato di coinvolgere tutti: Beppe Mor, Dean Mc Kinnel, Cristiano Durante e anche i giocatori più esperti, Andy Vilk, Ben De Jager, Salvatore Costanzo, Pablo Canavosio, e quel grande capobranco che è Paul Griffen. Con lui sono sicuro che Marcello Violi possa imparare tanto e che diventerà un mediano di mischia che ci darà delle belle soddisfazioni”.

Eppure non sono state tutte rose e fiori: dopo la sconfitta di Mogliano, all’andata, e il pareggio rocambolesco col Rovigo, una settimana più tardi, i dubbi non devono essere stati pochi.

“La verità bisogna chiederla a mia moglie Francesca, che mi ha sopportato in quei giorni, quando ho rimesso in discussione il mio percorso, la mie scelte. Ma poi, insisto, ho capito che il lavoro premia. E quei risultati sono stati un bel test d’ingresso perché se alle spalle non ci fosse stato un buon lavoro, un gruppo unito, una fiducia reciproca, davanti alle difficoltà di quelle prime settimane, con un allenatore nuovo, appena arrivato, la squadra  si sarebbe sfaldata e oggi non raccoglieremmo quello che abbiamo seminato”.

C’è stato un momento più importante di altri?

“Le coppe, anzi la partita di esordio contro il Brive. Calvisano è un paese piccolo, dove tutti conoscono il rugby. In quella vigilia, al bar, per strada, dal benzinaio,  ho sentito l’orgoglio di un piccola comunità che davanti agli avversari più blasonati gonfia il petto. Tutti sapevano che arrivava una squadra che qualche settimana prima aveva dato trenta punti al Perpignan, però dicevano anche di aver già vissuto esperienze di quel tipo e in qualche caso di aver anche vinto quelle partite. Mi hanno fatto sentire Braveheart  davanti agli inglesi…”.

Qual la differenza tra il lavoro con una selezione o una Nazionale giovanile e il club?

Ho dovuto imparare a diluire il lavoro, le risposte e le aspettative su un tempo più lungo, mentre prima tutto si concentrava in poche settimane. Io sono uno che vuole fare tante cose, magari tutte insieme, mettendomi alla prova in una gestione quotidiana ha imparato a lavorare su tempi più lunghi, mi ha aiutato molto Dean (Mc Kinnell, ndr) e un gruppo di professionisti straordinari”.

Modelli?

"Sono un grande tifoso di tutti gli allenatori italiani: Luca Banchi, dell’Armani Jeans di basket, Mauro Berruto, della Nazionale di Volley, Carlo Ancelotti, che quando ero all’Accademia a Tirrenia è capitato qualche volta da quelle parti e chiedeva, era curioso, voleva sapere come funzionava la difesa nel rugby”.

Siamo alla fine, è consentita un po’ di retorica.

“Mi piacerebbe che quando si vede un ragazzo giocare in Nazionale, che veste la maglia azzurra e canta l’inno, si pensasse a quegli allenatori che lo hanno scovato a scuola, lo hanno formato nelle U12,nelle U14. nelle altre selezioni giovanili e, infine lo hanno portato ad altro livello. Che invece di dire “è stato un mio giocatore” dicessimo tutti “è nostro”. E che come ci si è entusiasmati per le mete si Sarto si avesse anche l’ambizione di vedere un arbitro italiano nel Sei Nazioni perché gli uni e gli altri sono indispensabili al movimento. Dobbiamo crescere tutti e farlo tutti insieme”. 

 

Gianluca Guidi è nato a Livorno il 2 febbraio del 1968. E’ sposato con Francesca e ha due figli, Veronica, di quasi 6 anni e Riccardo, di dieci mesi. Con la maglia del Livorno ha giocato più di 200 partite, tra Eccellenza e serie A. Ha indossato 5 volte la maglia della Nazionale tra il 1996 e il 1997.

 

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Fotografie di Elena Barbini riproduzione riservata

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