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È stata una finale scudetto che ha messo a referto 8 mete (alcune davvero pregevoli per preparazione ed esecuzione), che è finita senza cartellini gialli né rossi, che è filata via liscia, a zero polemiche, con le opposte tifoserie (padrone ciascuna di una tribuna) festanti e danzanti sugli spalti e, alla fine delle ostilità, ordinatamente in coda ai banchi delle salamelle e degli gnocchi (voto 10 e doppia lode, provarli per credere. Complimenti signor Patarò!). Un evento di quelli che aiutano ad avere del nostro sport un’immagine gradevole, accattivante, serena e, tutto sommato, onesta. Anche se per riempire il bell’impianto di Calvisano sono bastate poche migliaia di appassionati, se le reti televisive nazionali non hanno fatto a gara per contendersi i diritti, se in tribuna stampa gli inviati delle testate che fanno tendenza, copie e informazione non si sono visti e anche se, dal momento che il nostro massimo campionato (ancora) non è la Premiership, né il Top 14, lo scarto finale (prima del garbage time) faceva pensare a un confronto impari più che al tirato e sofferto atto finale di una lunga e faticosa marcia. Detto ciò, rimane e rimarrà nella nostra (piccola, minima, a volte negletta o dimenticata) storia ovale, il ricordo di un bel pomeriggio di sport. Di una rappresentazione più che dignitosa del concetto di competizione leale e, a tratti, persino spettacolare. Di ciò è giusto ringraziare tutti gli attori, a cominciare con quelli che il sabato l’hanno trascorso in pantaloncini corti a sudare provando a vincere. Più sotto, la loro ultima pagella dell’anno.

Marius Mitrea: il suo pomeriggio era cominciato stranamente male. Panico, rientrando, calcia di piatto una palla schizzata fuori da un punto d’incontro e l’accompagna verso il proprio campo. Lui non se ne avvede. L’azione prosegue e l’uomo in giallo fischia calcio contro Calvisano per un’irregolarità intervenuta nel prosieguo, salvo andare a chiedere lumi al giudice di linea che gli consiglia una mischia ordinata. Superato l’impasse iniziale dirige da quel grande arbitro internazionale che è. Tiene in pugno la partita senza mai alzare i toni di una direzione che brilla per equilibrio e comprensibilità. È abituato ad altri palcoscenici e si vede. Ma non commette l’errore tipico di chi, dopo aver assaggiato caviale e Champagne, si dichiara inorridito e vagamente schifato alla vista di un panino doppia mortazza con rosso tappo corona in bicchiere di plastica. Nobile dentro. Voto: 10
 

CALVISANO

Minozzi: La somma delle cose belle e buone che realizza nel corso di 80’ splendidi minuti di rugby di alta intensità ed efficacia è alta, altissima. La pulizia esecutiva di alcuni suoi piazzati è nel libro dei sogni di ogni calciatore ovale. Come certe accelerazioni e cambi d’angolo in accelerazione. Il voto conseguente sarebbe quindi in proporzione, e perciò molto elevato. Sarebbe. Se, verso la fine, a partita stravinta e a danze sul punto di aprirsi, non trovasse il tempo per dileggiare e irridere un avversario, da lui caldamente consigliando di prendere visione del tabellone segna punti. Con un ghigno stampato sul volto che profuma (puzza) di “io sono io e voi non siete un K”. Della serie: piccoli (molto piccoli) Totti crescono. Oltre che bravo con la palla fra le mani e sul piede, è anche fortunato. O furbo. Dei tanti che avrebbe potuto scegliere come bersaglio della sua presa per il culo da vincitore sciocco, se n’è andato a cercare uno (Edo Lubian) che testa a posto e idee chiare ne ha a sufficienza. Uno che, fra le altre cose, possiede anche un diretto destro mica da ridere. Che però decide di non usare. Preferendo fare ricorso a quella quota di maturità e di intelligenza che al golden boy giallonero in procinto di diventare Zebra, evidentemente fa difetto. Il che (scarseggiare sul versante dei neuroni attivi) non è una colpa, sia chiaro. Ma un problema. Suo. Voto: 5

Susio: ci aveva abituato a una concretezza che in finale non è parsa in tutto il suo dirompente potenziale. Ha però disputato una gara accorta, senza errori e senza sbavature. Notevoli un paio di sue progressioni palla in mano in spazi ristretti. Conosce i tempi del sostegno di continuità efficace e sotto pressione non perde mai lucidità. Si candida a diventare un punto di riferimento dell’intera linea arretrata. Piacerebbe vederlo giocare qualche partita da centro. Voto: 7

Paz: il meccanismo che lo porta a salire sul calcetto di Novillo e a schiacciare in meta nel secondo tempo è roba da orologio di precisione. Interpreta il ruolo con grande competenza, maneggiando con cura la distribuzione del pallone, il governo dei cambi di angolo e l’intervento nelle chiusure difensive. Sa ritrovarsi anche nelle situazioni meno lineari e limpide. Un faro per i compagni di reparto. E non solo in finale. Voto: 9

Lucchin: abbonato agli scudetti. Il secondo in due anni. La prima meta della finale è sua. Nel senso che la realizza e se la costruisce in uno splendido assolo. Vede, meglio: annusa, che c’è una porta non ermeticamente chiusa sulla linea del fronte difensivo rossoblu, in un attimo prende la decisione, impegna l’intervallo e la sfonda. Davanti, solo una prateria da percorrere, fin sotto i pali. Da applausi. Trascorre il resto della finale a fare da argine alle sfuriate di Rovigo e a piazzare (almeno) un paio di placcaggi di quelli “buoni davvero”. Fra tutti, era il giocatore su cui il peso psicologico della sfida alla ex squadra, poteva fare più danni. Non è accaduto. Ha dimostrato di essere forte anche… dentro. Bravo. Voto: 8

Bruno: non la sua miglior prestazione. A dirla tutta, una delle meno convincenti. Al termine di una stagione ricca di acuti e di buone partite, disputa un primo tempo talmente inconsistente e scialbo da consigliare a Brunello di preferirgli Chiesa (voto: 8+) nella ripresa. Veniva da una stagione tribolata e grigia, a Calvisano a ritrovato smalto ed esibito qualità che possiede in grande quantità e che non mancherà di riproporre. L’anno prossimo. Voto: 6

Novillo: è al 60, forse 70 per cento della sua potenza effettiva di fuoco. Ha una gamba che guarita perfettamente ancora non è. Ma quel che rimane, arto difettoso a parte, giustifica il suo impiego nella partita più difficile dell’anno. Non piazza e il gioco tattico al piede se lo risparmia. Ma pur menomato e limitato assai nella sua potenza di fuoco regala una partita di grande sostanza e continuità, impreziosita da un paio di attacchi alla linea da manuale e dal “solito” chip di velluto sopra le teste dei difensori. Onore a lui e a chi l’ha portato in Italia. Voto: 9

Semenzato: forse pensava che a Calvisano avrebbe avuto minutaggi soft, avrebbe seguito l’evoluzione di qualche giovane n.9 di belle speranze, ritagliandosi il ruolo di mentore o di fratello maggiore. È accaduto, invece, che nel momento meno adatto della stagione, i giovani si siano tutti rotti, e che il mentore sia stato costretto a scendere dalla cattedra e impastare, come un allievo qualunque, il pane del lavoro al fronte senza licenze e turni di riposo. Se in gara 2 con Viadana aveva mostrato qualche cedimento, più fisico che mentale, nella partita che ha deciso l’intera stagione ha risposto semplicemente: presente. Dettando tempi e modalità di utilizzo del pallone che ha offerto alla squadra come personale e prezioso contributo alla causa comune. La classe non è acqua! Voto: 10

Tuivaiti: quando costruisce l’avanzamento che porta Chiesa in meta verso la fine del match ha sulle spalle e sulle gambe il peso di una partita monumentale per volume di lavoro svolto, metri percorsi, placcaggi eseguiti e subiti, metri guadagnati. La perfezione è di questa terra. Voto: 10

Giammarioli: gioca nel ruolo (open side flanker) che ha molte probabilità di diventare il suo di elezione. Ha tempi di intervento, linee di corsa e competenze nel trattamento della palla e degli spazi che lo situano sul livello alto del nostro panorama nazionale. Disputa una partita di buona sostanza, illuminata da qualche acuto (soprattutto difensivo) che inducono a ulteriore ottimismo per il suo futuro e per quello della nostra Nazionale. Non è altissimo… Voto: 8

Archetti: diligente ed esplosivo quando, sotto pressione, gli si chiede di alzare l’asticella dell’intensità. Si destreggia bene in rimessa laterale e usa con raziocinio mani educate e gambe che altro non chiedono di essere lasciate libere di girare al massimo. Titolare in una finale per molti versi delicata, in un reparto cruciale e ben fronteggiato dai dirimpettai in maglia rossoblu. Da applausi un suo recupero sul placcato. Voto: 8

Andreotti: al minuto 36 annusa (o azzarda, o tira a indovinare) la direzione di corsa in sostegno a Minozzi in versione pallina da flipper impazzita. Qualcuno lassù lo ama e gli fa trovare palla e spazio per la cavalcata che vale la seconda e pesantissima meta. Disputa una partita eccellente in rimessa laterale, molto buona in fase di interdizione ed è fra i più continui nell’alimentare la pressione con o senza palla. Di lui ebbe a dire Morelli: “è un ragazzo che si nota poco ma che in mischia e sui punti d’incontro, quando non c’è, te ne accorgi”. Tanto per cambiare, il capitano, aveva ragione. Voto: 9

Cavalieri: per lui ha avuto parole di grande apprezzamento lo stesso Brunello in conferenza stampa. È fra gli uomini più esperti del pack, fisicamente una roccia, buono per il cesello e per i lavori meno raffinati. Ruvido quanto basta ma, quest’anno nel complesso, molto meno falloso rispetto al passato. Determinante. Complimenti Augustin! Voto: 10

Riccioni – Panico: tanta voglia di fare, fisico che sembra disegnato per il ruolo e tanta, tanta dedizione alla causa comune. Se è vero (anche nel rugby 4.0?) che la maturità di quelli in prima linea arriva verso i 29 – 30 anni, trattasi di coppia di ragazzini alle prime armi. Ma se quelle esibite quest’anno e in finale sono davvero le prime, ci piace pensare che le ultime (e le penultime) siano di distruzione (sportiva) di massa. Bravi, ragazzi! E complimenti alle due mamme! Voto: 8

Morelli: capitano, mio capitano. Per capire che lo 0-12 dei primi 25’ era solo un dato contingente che poco o nulla avrebbe pesto sull’esito finale della battaglia, sarebbe stato sufficiente osservarne il comportamento in campo. Sereno, a tratti persino solare, prodigo di consigli per i suoi ma elargiti con la pacatezza di uno che le cose le capisce e che, soprattutto, ha capito come andranno a finire. Esce caracollando fra gli applausi della parte giallonera del San Michele (e non solo di quella) godendosi gli onori che spettano ai condottieri competenti e credibili. Spesso: vincenti. Voto: 10

Costanzo: gioca un quarto scarso della gara che segna il suo addio al rugby giocato e all’Italia. Quella che gli varrà, alla fine e per la storia di questo sport, il record personale di DIECI SCUDETTI vinti da giocatore. Tutti ottenuti stando sul lato destro della prima linea a impartire lezioni di stile, di forza e di spirito guerriero. Il più delle volte, quasi sempre, in silenzio. Come quelli che grandi lo sono davvero. La sua concittadina Donatella Pezzino era convinta che “…ccu autunnu non s’accoppia a primavera”. A vederlo, sabato, inseguire un pallone ovale con la stessa naturale e meravigliosa foga di un bambino che corre alla ricerca dell’anima più intima e autentica del gioco, bisogna ammettere che Donatella poco ci capiva di piloni. Ai poeti è concesso. Alle poetesse, ancor di più. Voto: 10, con lode. E grazie di tutto, Salvatore!

 

ROVIGO

Basson: chiude con 6/6 dalla piazzola, a testimonianza di un’affidabilità che non è mai venuta meno. Partecipa secondo indole e propensione naturale alla fase offensiva, contribuendo di suo a ogni avanzamento sugli spazi allargati. Si perde un paio di volte in tentativi di contrattacco che le sue attuali punte di velocità gli sconsiglierebbero. Gioca una finale sopra la sufficienza, confermandosi elemento imprescindibile per gli equilibri della squadra. In odore di riconferma. Voto: 7

Barion: presidia bene la sua fascia al largo, mai in difficoltà sotto pressione, si segnala per un paio di decise entrate in fase difensiva e per la disponibilità al sostegno nel gioco rotto e non strutturato. Firma anche una meta personale a partita finita e a scudetto assegnato. Ma quella inestinguibile voglia di accelerare e di fare cose nonostante tutto, merita un premio. Voto: 6

Majstorovich: scende in campo con la voglia dichiarata di incidere sulla partita. Lo fa con almeno due cavalcate degne di applausi e con alcune chiusure puntuali ed efficaci sulle trasformazione al largo dei bresciani. Le mani non sono educatissime ma ha la tempra del combattente di razza. Il contrattacco di Minozzi trova (non solo lui) impreparato e fuori equilibrio. Ma la voglia di dare il massimo si è vista in ognuno degli 80’ che ha trascorso sul terreno. Voto: 6

McCann: in avvio di partita salva almeno due mete con placcaggi laterali di rara pulizia ed efficacia. Nel corso di una finale che ha visto la sua squadra subire più che imporre gioco, si è segnalato per la consistenza dell’apporto fornito e per la tempistica perfetta di alcune “scalate” difensive. Gioca pochi palloni, ma quei pochi non li perde e non li sciupa. Chiude la sua finale al 40’ per infortunio. Voto: 6+, al suo posto: Mantelli, voto: 6

Torres: onesta partita con momenti di effettiva difficoltà superati grazie a buone gambe e a una solida tecnica individuale nelle situazioni sotto pressione. Non è un fulmine di guerra palla in mano, ma governa il suo canale con sufficiente confidenza e sicurezza. Voto: 6

Rodriguez: un’apertura fa quel che il resto della squadra gli consente di fare. Anche l’investitore più accorto e capace, dovendo amministrare quattro soldi, al massimo li fa diventare otto. Non certo milioni. Perde, alla distanza, il duello con il dirimpettaio Novillo. Il quale però, quanto a conto in banca e fondi fiduciari a disposizione (leggasi: palloni di qualità e spazi per giocarli), fa la figura di Paperon de’ Paperoni contrapposto al suo autista. Incide poco sulla gara, ma non per colpe particolari, se si eccettua la pochezza del suo gioco al piede tattico. Voto: 5

Chillon: partitona! Si ricorda di essere anche un buon attaccante quando, nella ripresa, semina il panico fra i gialloneri con una penetrazione sull’asse che si spegne solo a un passo dalla meta e che Paz ferma illegalmente con qualcosa che, dalla tribuna stampa, è sembrato un professionale meritevole di ben altra sanzione. Usa piedi e mani con genio e raziocinio, ha i tempi del mediano navigato e sempre sul pezzo. Intensità e concentrazione le sue armi migliori, oltre a un ottimo passaggio sui due lati. Voto: 9

De Marchi, Lubian, Ruffolo: valutazione cumulativa per una terza linea che ha combattuto senza mai sottrarsi allo scontro, lottando per ogni maledetto centimetro di campo, nella consapevolezza che, in finale, ogni placcaggio men che perfetto è un regalo che l’avversario non deve ricevere. Bene in rimessa laterale, paga (come reparto) la ridotta stabilità del blocco dei primi cinque in chiusa. Sufficienza non politica ma meritata. Voto: 6

Parker – Boggiani: nelle battaglie aeree mancano un paio di controlli, in chiusa si sacrificano dietro a una prima linea mai dominante e solo raramente in equilibrio. Placcano e si dedicano al lavoro oscuro sui punti d’incontro dimostrando buone competenze atletiche e grande predisposizione alla battaglia. Dentro fin quasi alla fine nonostante ferite e acciacchi. Ammirevoli. Voto: 7

Iacob – Monberg – Muccignat/Balboni: opposta alla prima linea in versione “baby + Morelli” del Calvisano paga da subito pegno negli assetti e nelle modalità di spinta/trasmissione del peso. Le energie spese in chiusa ne limitano il raggio d’azione e l’efficacia sui punti d’incontro. Muccignat resta negli spogliatoi dopo 40’. Quando Brunello manda dentro la panchina la partita “là davanti si chiude”. L’impressione generale è che, soprattutto a destra, ci siano stati problemi non previsti. Voto: 5

 

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Tabellino formazioni e statistiche di Calvisano - Rovigo

Foto Alfio Guarise