Mattia Bellini: la giusta prospettiva
Articolo pubblicato su Allrugby numero 143
Perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi. La frase di Tancredi è talmente nota da essere diventata una specie di luogo comune dei difetti dell’Italia. Mattia Bellini, ala delle Zebre e della Nazionale, sta leggendo “Il Gattopardo”. Inevitabile che si parli allora del cambiamento che sta per in- vestire la squadra azzurra. Con la speranza che al- meno dal punto di vista dei risultati non resti tutto uguale.
“Certo qualche cambiamento ci sarà, per forza, viste le partenze di O’Shea e di Catt - dice Bellini -. Al momento però non ho assolutamente idea di quali potrebbero essere le novità: Franco Smith io non l’ho mai incrociato e quindi faccio fatica a immaginare quale tipo di gioco vorrà scegliere per l’Italia. Diciamo che dopo che siamo tornati dai Mondiali, con tutti gli impegni che ci sono stati, a livello di club, non sono ancora nemmeno riuscito tanto a proiettarmi sul Sei Nazioni”.
Fuori per tutto il torneo della scorsa stagione, dopo l’infortunio alla spalla subito contro l’Australia, a novembre 2018 a Padova, Mattia Bellini è stato il miglior marcatore di mete azzurro degli ultimi sei mesi, considerando le quattro partite di preparazione al Mondiale e le tre giocate in Giappone. Le statistiche gliene assegnano ufficialmente cinque, come Matteo Minozzi, ma lui precisa di averne realizzate sei: due alla Russia, due alla Francia (allo Stade de France ad agosto), una al Canada e una alla Namibia a Osaka.
“Quella alla Namibia nel computo totale manca - spiega -, perché io e Edoardo Padovani ci eravamo scambiati le maglie e i commentatori vedendomi segnare con il numero 11 hanno pensato che la meta fosse sua. Nei tabellini è rimasto il suo nome”. I due a Parma dividono l’appartamento, non è che sulla paternità di quella meta si discuta. Non si di- scute nemmeno sulla gestione della casa: Mattia è l’addetto alla cambusa, Edoardo alla “logistica” sempre che questo termine voglia dire qualcosa. Insomma, Mattia mentre parla con noi è reduce dalla spesa, soprattutto frutta e verdura, in questo caso clementine e broccoli: “perché - dice - dal fruttivendolo sono disposto a spendere anche qualcosa in più, pur di mangiare sano e prodotti di stagione”.
Torniamo al rugby. Qualcosa, in realtà, a Bellini piacerebbe che cambiasse anche dal punto di vista del gioco della squadra azzurra.
“Sono un’ala che in passato ha giocato anche estremo e centro - spiega - e mi piace essere coinvolto nel gioco e, se possibile, andare a cercare le mie opportunità anche in mezzo al campo. In queste ultime stagioni invece le consegne erano abbastanza rigide: gli avanti fra le due linee dei 15 metri, le ali larghe a presidiare le fasce. Dico la verità, a me di stare ad aspettare che mi arrivi il pallone non è che mi diverta tanto. Però vediamo. Non faccio questioni”.
Al Mondiale, nonostante tutte le mete segnate nelle partite precedenti, a sorpresa, contro il Sudafrica sei rimasto fuori.
“Eh sì, inizialmente non me l’aspettavo e un po’ ci sono rimasto male, perché fino all’ultimo pensavo di giocare titolare. Ma sono uno che pensa che il coach nella stragrande maggioranza dei casi abbia ragione. È lì per decidere che tipo di gioco deve fare la squadra e il suo compito è fare delle scelte”.
E a te la scelta come è stata spiegata?
“Mi ha detto che preferiva un po’ più di copertura in difesa e siccome tutti sanno che io sono un’ala votata decisamente all’attacco ho accettato la deci- sione senza fare tante storie. Lo scopo era il meglio possibile per la squadra, l’obiettivo non era di uno ma di tutti”.
Cosa vuol dire che sei un’ala d’attacco?
“Tendenzialmente che mi piace più attaccare che difendere. In difesa commetto ancora degli errori, sui quali sto lavorando per migliorare. Specialmen- te nel placcaggio. Anche un anno fa, quando mi sono fatto male a Padova nel placcare Folau è stato perché il placcaggio non l’ho fatto bene, eravamo un po’ stanchi, mancavano dieci minuti alla fine, sono convinto che se avessi compiuto il gesto come andava fatto non ne avrei subito quelle conseguenze”.
Quanto ti è pesato stare fuori tutto il Sei Nazioni?
“Abbastanza, anche adesso (inizio dicembre, ndr) che sono fuori da qualche settimana per un paio di colpi alla coscia, un po’ mi secca, non mi fa piacere guardare gli altri giocare. Ma sono gli inconvenienti del mestiere, capitano, bisogna saperli accettare”.
A Padova, prima di infortunarti facesti meta all’Australia.
“Sì, e insieme all’esordio (allo Stade de France, contro la Francia nel 2016, ndr) quella meta, a casa mia, resta uno dei ricordi più belli finora. Nei Wallabies c’era anche Adam Ashley-Cooper che è sempre stato il mio riferimento, il mio idolo: affrontarlo sul campo è stata una grande emozione”.
Hai scambiato la maglia?
“Macché! Dopo che mi ero fatto male, negli spoglia- toi ho perso un po’ di tempo e quando sono andato a chiedergli la maglia l’aveva già data a qualcun altro, che rabbia...”.
Ti reputi un istintivo più che un esecutore di un copione?
“No, non è che non apprezzo le strutture di gioco, mi piace interpretare le situazioni. Wayne Smith ci ha detto che nella scelta degli All Blacks i selezionatori tengono in grande conto la loro capacità di prendere decisioni, il ‘decision making’. La struttura di gioco deve essere un piano che ti mette in condizione di poter prendere delle decisioni al meglio, in base alle tue capacità e a quello che succede in campo”.
Studi il gioco?
“Certamente, preparo tutte le partite, studio gli avversari”.
E fuori dal campo?
“Studio economia, qui a Parma, diciamo che mi sto attrezzando”.
Una cartolina dal Mondiale?
“Un’esperienza bellissima, una di quelle che sogni da bambino, una grande emozione. Anche se non abbiamo giocato contro gli All Blacks e se sono rimasto in tribuna con il Sudafrica”.
Hai venticinque anni, programmi, obiettivi, prospettive per il futuro.
“Stare bene fisicamente, mantenere la forma. Mi alleno tanto, lavoro tutti i giorni, senza abbattermi”.
Quanto pesa, tra Zebre e Nazionale, vincere poco, in qualche caso perdere quasi sempre?
“Pesa e non è facile farlo capire agli altri. A volte ci criticano, ma soprattutto con la Nazionale giochiamo sempre con squadre molto, molto forti. Cerco di met- tere i risultati in prospettiva, ne parlo con i miei genitori, cerco di contestualizzarli nella vita di tutti i giorni, in rapporto a quello che le persone vivono nel loro lavoro, settimana dopo settimana. Noi magari il lunedì riprendiamo ad allenarci dopo una sconfitta, abbiamo la possibilità di rifarci con la partita successiva. Gli altri, il lunedì tornano al loro lavoro, nonostante problemi, delusioni, è bene esserne consapevoli e mettere le cose nella giusta dimensione”.
Mattia Bellini è nato a Padova l’8 febbraio dl 1994. In Nazionale ha giocato 22 partite, 21 delle quali da titolare, realizzando 9 mete.
Nel campionato di Eccellenza ha disputato più di 60 partite, tutte con la maglia del Petrarca.
Nelle Zebre ha esordito a settembre del 2015, da permit player contro i Cardiff Blues in Galles. Con la franchigia, alla data del 15 dicembre 2019, aveva disputato complessivamente 52 partite, tra campionato e coppe, mettendo a segno 19 mete.
È alto 1.88 e pesa 85 kg.
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