Difesa italiana: Quando Vittorio Munari fece marcare Kirwan “a uomo”
Antonino Failla da Catania, detto “Tamburi lontani”, samoano nell’aspetto e nella intima conoscenza del gioco. Uno che, molto semplicemente e con una naturalezza che nel rugby di casa nostra pochi hanno saputo replicare, placcava “tutto quello che c’era da buttare giù”, e correva, oltre a saper usare le mani e il piede come pochi. Un giorno a Treviso (quando il massimo campionato ancora si chiamava serie A) cancellò il grande John Kirwan dalla partita. Salendo oltre la linea del vantaggio e andandosi a incollare “a uomo” al gigante di Auckland per placcarlo appena questi riceveva la palla. “Arbitro! Fuorigioco!” urlavano le tribune di Monigo. E c’è chi giura di aver sentito lo stesso Kirwan avanzare qualche dubbio circa il comportamento del Tonino da Catania che, per tutta la partita, gli restò praticamente aggrappato ai calzoncini, finché i centri di Treviso (gente che sapeva giocare davvero e molto bene) capirono l’antifona e smisero di servirlo. In effetti, Failla di infrazioni non ne commetteva alcuna. Dal momento che, una volta lanciato il gioco da una fase statica o da un raggruppamento, anche i piccoli dell’under 14 lo sanno o dovrebbero saperlo, le linee di fuori gioco non ci sono più. La pensata, e i relativi adattamenti studiati in allenamento portavano la firma di Vittorio Munari (da allora, e non solo per questo scherzetto e per la statura in centimetri, soprannominato Napoleone) che a quei tempi sedeva sulla panchina del Petrarca. Lo stesso che ieri, in telecronaca, deve aver fatto una fatica bestia a non scoppiare a ridere (Mike Catt in tribuna non ha resistito e le Tv di tutto il mondo ne hanno registrato le inequivoche movenze) ogni volta che Danny Care, palla in mano dietro a quella che riteneva essere una ruck, sembrava ripetere il tradizionale gesto di chi, ricevuto in regalo l’annuale uovo di Pasqua, lo scuote più volte nella speranza di indovinare la natura e il valore della sorpresa.
E che dire di Haskell e del tallonatore capitano dell’Invincibile armata Hartley che, richiesta e ottenuta udienza all’arbitro Poite, un altro che deve aver faticato non poco per non mettersi a ballare a centro campo, per la gioia di vedere i suoi cugini (cugini?) alle prese con un problema per loro irrisolvibile, si sentono rispondere quel che tutti abbiamo sentito (“Io arbitro, non vostro allenatore)?
È vero, alla fine ne abbiamo presi 36, che non sono pochi. Ma abbiamo evitato la grandinata che in molti (chi scrive fra questi) si attendevano, con rassegnata seppur composta partecipazione al lutto. E l’abbiamo fatto (plurale maiestatis, pare l’abbia fatto uno di Johannesburg) scavando appena appena sotto la superficie del regolamento. Mica barando, sia chiaro!
“Il re è nudo!” avrebbe urlato, se solo a scuola gli avessero fatto leggere roba seria e non le solite tirate sulla fame e sulla pace nel mondo, un ragazzino di poco più più di 10 anni del quale mai ho saputo il nome e che non so se qualcosa di buono nel mondo del rugby abbia fatto o combinato, una fredda mattina di dicembre a Padova di qualche lustro fa.
Era in corso di svolgimento, all’interno di un concentramento (allora si chiamavano così, prima che qualcuno si accorgesse che, un concentramento, su un campo…) di Minirugby fra club della regione, mi pare fosse un Tarvisium – Mirano. E i ragazzini in maglia bianca (quella della Tarvisium, per quei pochissimi che dovessero non saperlo, è rossa. Al massimo: rosso vivo, secondo le indicazioni di uno dei suoi padri fondatori) avevano allestito, per giocare un calcio di punizione a favore, una sorta di barriera a semicerchio formata da 5 giocatori, tutti che davano rigorosamente le spalle all’avversario. Il piano di battaglia prevedeva che il n.9 del Mirano servisse, senza che i Rossi potessero vedere dove andava la palla, l’ovale a uno dei cinque della muraglia il quale (ore e ore di allenamento!) l’avrebbe passata-consegnata a uno dei quattro bisonti che quella staccionata avrebbero superato in velocità. Cogliendo impreparata la difesa che nulla avrebbe potuto percepire e comprendere di quanto stava accadendo. Con questo elaborato piano tattico Mirano aveva giù segnato un paio di mete. Stava accingendosi a segnare la terza quando un piccolino (piccolino davvero, non solo per età), al passaggio del n.9 avversario, parte come un missile in direzione dei cinque in piedi, aggira il muro, scopre quale dei cinque ha il pallone, glielo strappa dalle mani e parte in direzione della linea di meta. Che varca trionfalmente. “Arbitro! Fuori gioco!”, urlarono mamme impellicciate e babbi in tenuta da free climbing. Come a Twickenham, come a Monigo, come dovunque chi non sa le cose apre bocca e dà fiato.
26 febbraio 2017, Londra, Sei Nazioni. La storia, anche quella ovale, è solita ripetersi.
Ps – se quel genio di ragazzino sopra descritto, che oggi dovrebbe avere più meno trent’anni, si riconoscesse nel racconto, si faccia vivo. Mi piacerebbe stingergli la mano.