Callum Braley, la Nazionale e il Top 12, domande e ancora domande
In un articolo di commento sui test match di novembre (qui il link), ponevo una raffica di domande sulla mancata competizione all’interno della nostra squadra Nazionale maschile e sul perché, a fronte di alcune dichiarazioni di O’Shea sulla necessità di allargare la rosa, in verità non si stia seguendo quella strada.
Ora arriva l’invito (perché chiamarla convocazione non sta bene) a Callum Braley, carneade inglese che a Gloucester ha giocato quest’anno una media di 34 minuti a partita, quindi è un rincalzo. Con tutto il bene che possiamo sforzarci di volere al venticinquenne d’oltremanica, questo invito non fa che aggiungere domande a domande sugli stessi temi già affrontati e su qualche tema ulteriore.
Perdonerete se alcune di esse sono con tutta evidenza retoriche.
Cosa cambia uno come Braley nella nostra Nazionale, che ha problemi evidenti soprattutto di gestione mentale delle partite?
Siamo davvero sicuri che in Top 12, campionato italiano, non ci siano giocatori che con un po’ di esperienza e preparazione mentale non possano valere un Braley? Ad esempio qualcuno tra i permit players di Zebre e Benetton? Ci siamo dimenticati del caso di Semenzato, che chiamato da Mallett per mancanza di numeri 9 disponibili, nel 2011 giocò un ottimo 6 Nazioni e il Mondiale nonostante avesse appena esordito in Celtic League?
Uno degli obiettivi fondamentali non è poi quello di alzare il livello del nostro campionato italiano? Oppure vogliamo costruire una Nazionale su due squadre (o magari su una e un pezzettino)? E se vogliamo alzare questo livello, perché non “invitare” in Nazionale i giovani più promettenti, dando uno stimolo enorme a tutto il movimento del Top 12, che, ricordiamolo, è fatta in buona parte da ragazzi che vivono di rimborsi spese? Ragazzi cui ogni weekend viene chiesto di rischiare l’osso del collo… Non sarebbero più invogliati a farlo (e a migliorarsi giorno dopo giorno) se dessimo loro da coltivare anche una prospettiva davvero accessibile?
O’Shea ha mai visto una partita di Top 12? Ha mai parlato con Marcato o Presutti?
Domande su domande e una considerazione.
La scelta di Braley ha il sapore della mancata autocritica. O’Shea e il suo staff non sono ancora riusciti a trovare il bandolo della matassa della Nazionale maschile, ma se continuano a cercarlo nei singoli giocatori difficilmente lo troveranno. La Benetton lo dimostra: la soluzione è sempre nella squadra e nei suoi meccanismi di adattamento e correzione. Ogni distrazione rispetto a questo obiettivo ci potrebbe portare ancora più lontano dai risultati.
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