I Pionieri del Rugby: Il quartiere operaio di Viale Lombardia, la resistenza
Storia dell'Azzurro Enrico Allevi (1902-1945), di Elvis Lucchese

Di ragazzi che giocano a rugby alla fine degli anni Venti in Italia se ne contano non più di una cinquantina. Divisi fra Roma, Milano e Torino, sono i primissimi pionieri di uno sport che arriva dall’impero britannico con un’aura di leggenda, ruvido ma “cavalleresco”. Perlopiù sono giovani delle classi più privilegiate, colti studenti universitari che magari hanno conosciuto la palla ovale durante soggiorni di studio in Inghilterra o viaggiando oltralpe. Quando nel 1936 una squadra italiana si esibirà al Mayol di Tolone, i cronisti locali riporteranno con stupore l’ottima conoscenza della lingua del capitano Francesco Vinci (Vinci III, che ha rivolto une charmante allocution au banquet) e in generale il français trés pur di tutti i nostri.
Nella Milano operaia Ambrosiana e Amatori domineranno la scena nazionale fino alla guerra
Nella Milano operaia il primo luogo del rugby è l’impianto di via Sismondi che l’industriale della brillantina Algiso Rampoldi ha acquisito dal Milan per farne la sede dello Sport Club Italia. Fra gli atleti in allenamento in pista con lo sprinter Ernesto Bonacina, olimpionico a Parigi 1924, vengono reclutati i giocatori che sotto le insegne di Ambrosiana e Amatori domineranno la scena nazionale fino alla guerra. Qui l’aristocratico gioco britannico si apre presto, senza riserve, a tutti i ceti cittadini. Fra un buon numero di universitari (alcuni addirittura eredi di titoli nobiliari come Filippo Caccia Dominioni e Piero Paselli), ci sono ad esempio il tipografo Arturo Re Garbagnati, i meccanici Lucio Cesani e Aurelio Cazzini, il macellaio… Leandro Tagliabue. Fra i più vecchi del gruppo Enrico Allevi, classe 1902, è un “soffiatore”, cioè un artigiano del vetro che nel suo piccolo laboratorio domestico, insieme alla sorella Augusta, crea con il cannello fiale, bottiglie e oggetti di ogni tipo. Nel 1925 è diventato padre di Orazio, primo dei suoi tre figli. In una periferia che è ancora circondata dalla campagna gli Allevi abitano nel quartiere operaio di viale Lombardia, un’iniziativa di edilizia popolare voluta dalla società Umanitaria con il lascito del filantropo Prospero Moisè Loria (13 milioni di lire, allora pari a metà del bilancio del Comune di Milano). In quel particolare contesto, tuttora riconosciuto all’avanguardia del social housing, più di duecento famiglie sperimentano forme di autogestione e solidarietà, condividendo servizi a favore dell’istruzione, dell’igiene, dell’impiego, ma anche tempo, relazioni e idee.
Sul campo da rugby Enrico Allevi si fa valere. Seconda linea di un certa prestanza per il tempo con i suoi 177 centimetri, gioca fin dalle partite promozionali del ’27 contro rappresentative francesi e nel campionato d’esordio conquista lo scudetto con la maglia dell’Ambrosiana, battendo la Lazio nella finale di Bologna. Ma per il rugby italiano il 1929 è anche l’anno dei primi confronti internazionali. Allevi è nella comitiva che si reca a Parigi, dove una selezione che schiera romani e milanesi la spunta - ricavandone titoli clamorosi sui giornali - sui dopolavoristi della Borsa. Da quell’esperienza nasce la Nazionale azzurra ed Enrico Allevi è fra i diciotto che calcano il terreno dello stadio gremito di Montjuïc in quello storico debutto del 20 maggio 1929, sfortunato per gli italiani solo nel punteggio (0-9). Dopo Barcellona il milanese manca la partita dell’anno seguente, quando l’Italia ricambia l’ospitalità ai catalani. Lo ritroviamo in maglia azzurra nel terzo impegno della Nazionale, nel 1933, quando all’Arena di Milano la Cecoslovacchia è battuta 7-3 con un meta e un calcio di Renzo Maffioli. Intanto Allevi è diventato un punto fermo dell’Amatori: nella stagione ’32-33 ha vinto ormai il suo quinto scudetto e insieme a Cazzini e Aymonod è sempre stato presente nel quindici titolare.

E’ l’estate dello scisma del rugby milanese. Un buon numero di atleti segue Piero Paselli nei Bersaglieri, i quali serbano l’ambizione (mai realizzata) di scippare supremazia cittadina e titolo all’Amatori. Anche Allevi sceglie la nuova casacca, ma richiamato dagli impegni familiari e lavorativi sarà quella la sua ultima stagione sul campo. Pochi, d’altra parte, prolungano allora la carriera sportiva oltre i trent’anni. È maturata intanto una definitiva scelta di parte. Mentre il regime aumenta le attenzioni sul quartiere operaio di viale Lombardia, dove cova l’antifascismo, nel 1935 Allevi si iscrive al Partito Comunista clandestino e intraprende un attivo, seppur vigile, impegno nella politica. Caporale di Fanteria, con l’ingresso in guerra dell’Italia sfugge per l’età alla chiamata alle armi. La vita quotidiana dei milanesi si fa sempre più difficile. Dopo l’8 settembre il figlio Orazio, diciottenne, ha risposto al bando di arruolamento obbligatorio della Repubblica Sociale. Enrico Allevi, che fa sfollare la moglie Angela e gli altri figli, rimane a Milano ed è fra gli organizzatori di una compagine comunista che opera nell’area metropolitana, la 110° Brigata Garibaldi, assumendo il ruolo di commissario. Per tutelarli da indagini e rappresaglie, ai familiari non fa sapere nulla delle proprie attività. La sorella Augusta fa intanto la staffetta.
La zona orientale della città, fra viale Monza e Lambrate, da cui partono operai e tecnici per i grandi stabilimenti della cintura industriale, diventa uno dei luoghi caldi della Resistenza. In seguito ad un attentato partigiano in viale Abruzzi, il 10 agosto 1944 i nazifascisti prelevano da San Vittore quindici detenuti politici e li giustiziano in piazzale Loreto, esponendo per un giorno i cadaveri trucidati allo sguardo della cittadinanza. Fra le vittime il ventunenne Giovanni Tullio Galimberti, renitente alla leva, partigiano comunista, il quale ha conosciuto il rugby allenandosi con l’Amatori. Lo stadio Giuriati da luogo di gioco si fa teatro di tragedia quando il 14 gennaio 1945 vi vengono fucilati nove attivisti della Resistenza. Hanno fra diciannove e ventitrè anni.
Mentre le condizioni di vita fra bombe e razionamenti si fanno sempre più drammatiche, Enrico Allevi, “prezioso organizzatore” nella testimonianza dei compagni, accusa nel dicembre ’44 una seria cardiopatia. Il 2 maggio 1945, mentre è al lavoro “redigendo il foglio di mobilitazione di un garibaldino”, viene ucciso da infarto. “Le fatiche della guerra partigiana gli avevano minato il fisico”. Nel 1968 gli sarà conferita la Croce al merito di guerra. Orazio Allevi ha seguito quella parte del 184° reggimento Nembo rimasta fedele al Regno per schierarsi fra i cobelligeranti contro i tedeschi. Rientra a Milano appena sei giorni dopo la scomparsa del padre. Sono sedici gli abitanti delle case Umanitaria di viale Lombardia caduti nel corso della guerra di Liberazione.
«Dell’avventura di rugbista di nonno Enrico in famiglia non sapevamo gran che», racconta il nipote Paolo, «le prime informazioni ci sono arrivate quando l’Amatori organizzò una celebrazione e potemmo vedere delle sue foto sul campo di gioco. La cosa curiosa è che il rugby ha continuato ad essere praticato nelle generazioni seguenti della famiglia. Mio padre Orazio è stato giocatore e soprattutto arbitro. Io e mio fratello Alessandro, insieme a qualche cugino, abbiamo avuto delle brevi esperienze con il Chicken. Niente scudetti o Nazionale come il nonno, ma sappiamo cosa significano allenarsi nel fango del Giuriati e l’ambiente dei rugbisti».
Enrico Allevi è sepolto nel Campo della gloria al Musocco e il suo nome è ricordato nel monumento ai caduti per la libertà della loggia di Piazza dei Mercanti.