Dalla terza alla prima linea: i giorni in trincea di Maxime Mbandà
Il 2 giugno in occasione delle celebrazioni della festa della Repubblica italiana il presidente Sergio Mattarella ha conferito a Maxime Mbandà e ad altri 56 cittadini l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. Uno tra i più importati riconoscimenti nazionali per un rugbista che ha lottato passando dalla terza alla prima linea nella battaglia al coronavirus.
Articolo pubblicato su Allrugby numero 146
"Mi rincuora la solidarietà delle persone, come la farmacista che vedendoci con i guanti ha pensato alle nostre mani e ci ha regalato una crema idratante. Sembra qualcosa di superfluo quando provi a salvare delle vite ma sono gesti del genere che ti fanno andare avanti"
Lavora 12 o 13 ore al giorno, mangia quando capita, si allena quando riesce, "rigorosamente indoor, mi sono organizzato con una piccola palestra nel garage, mi hanno appena montato la barra per le trazioni". Non è un eroe, né vuole apparire tale, gli basterebbe essere d'esempio per i tanti giovani che al momento sono a casa a fare nulla, magari annoiati e tendenti al lamento. "Non giudico nessuno e comprendo chi ha a casa altri familiari, come nonni e bambini. Gli altri però potrebbero prendere in considerazione il volontariato, come ho fatto io".
La storia è nota: dopo aver postato una sua foto con la mascherina e la tuta della Croce Gialla di Parma, Maxime Mbandà è finito su tutti i giornali. Perfino su quelli stranieri, in compagnia di un altro giocatore, il gallese Jamie Roberts. Sotto contratto con gli Stormers in Sudafrica, il centro due volte Lions è proprietario di un appartamento nei pressi di un ospedale in Galles che ha messo volentieri a disposizione dello staff medico per evitare contagi nell'ambiente famigliare. Non è frutto del caso questo coinvolgimento dei due giocatori: Roberts è laureato in medicina all'Università di Cardiff, Mbandà è figlio di un dottore. "Mio padre mi ha sempre insegnato ad aiutare il prossimo senza aspettarsi nulla in cambio, per questo ho raccolto l'invito del Presidente della Regione, Bonaccini, e del Sindaco di Parma, Pizzarotti.
Ho chiamato e mi sono messo a disposizione". L'idea era quella di portare farmaci e cibo ad anziani, anche perché tutto nasce da una collaborazione tra Croce Gialla, Comune e Emporio Solidale di Parma ma in poco tempo la situazione è stata stravolta. "Già dal secondo giorno mi è capitato di trasportare malati infetti all'ospedale o accompagnare a casa quelli con i sintomi più lievi. Ora mi occupo prevalentemente di spostare gente tra i tre ospedali della zona: Maggiore, Fidenza e Borgo Taro. In base alla disponibilità di letti, all'emergenza, ai casi più o meno gravi, ai morti che liberano posti, insomma tanto tempo in ambulanza con persone sole nella malattia, che non possono più vedere nessun familiare, il cui futuro è appeso a un filo". Maxime non nasconde la paura ma ha capito che in questi frangenti non serve a nulla, soprattutto ai pazienti: "è gente spaventata cui bisogna regalare speranza, tranquillità, una parola di conforto. Spesso non possono parlare ma gli occhi dicono tante cose. Gli si stringe la mano, li si accarezza e poi, appena non vedono, a metà tra la vergogna e i protocolli, ci si disinfetta la mano. È un'esperienza molto forte, sono dieci giorni che fatico a dormire, che mangio quando capita ma una volta a casa come faccio a considerarmi stanco? Dopo che ho portato a casa il primo paziente guarito, un sessantenne, che mi ha raccontato il suo ricovero?". Mario, è ovviamente un nome di fantasia, dopo due ore dall'entrata in ospedale ha assistito alla morte del suo vicino di letto. Durante la prima notte nello stesso reparto sono spirate altre due persone. E poi sirene, allarmi, personale medico che salta da un'emergenza a un'altra. L'incertezza per il proprio destino. Poi, dopo dieci giorni, Mario ce l'ha fatta e Maxime l'ha portato a casa sano e salvo.
"Ho imparato tante cose da quando presto questo servizio - continua Maxime - riesco a tirare giù da solouna barella dall'ambulanza, so cos'è un saturimetro e ora posso attaccare una persona all'ossigeno. La prima volta ho davvero avuto paura, perché un errore può essere fatale e mentre giravo la manopola ho sudato freddo, ora che in 48 ore ho ripetuto l'esperienza venti volte sono più confidente". Sorride, riesce a scherzare ma ormai è tutto guanti - anche diverse paia - camice, calzari, mascherina, disinfettante in continuazione, ecco la vita di Mbandà con il PRO14 sospeso fino a nuovo ordine. Non appare sereno quando pensa alla quantità di gente vista in giro nei suoi continui spostamenti Maggiore-Borgo Taro-Fidenza. "Io già dopo le prime avvisaglie ero molto preoccupato, faticavo a scherzarci come invece capitava ad altri. Ora la situazione è critica e le persone in ambulanza potrebbero essere i miei genitori, i miei zii o anche un mio amico. Dovrebbero pensare tutti in questo modo. Anche i giovani: ho portato ventenni e trentenni in ospedale, non solo anziani. È incredibile come non si riesca a far passare il messaggio e parte della popolazione disattenda le direttive. C'è un mondo di gente che combatte ma non è necessario stare in trincea come me per capirlo, basta aprire gli occhi".
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