I coach della Rugby World Cup 2019, partiamo dal Gruppo A
In vista della Rugby World Cup 2019 sembra opportuno dare uno sguardo ai coach che guideranno le 20 nazionali a Giappone 2019. Oggi vi presentiamo i cinque head coach del Gruppo A: Jamie Jospeh, Joe Schmidt, Gregor Townsens, Lyn Jones e Steve Jackson.
Jamie Joseph - Giappone
Ex terza linea di 196 cm per 105 kg, 49 anni, in carriera ha vestito la felce argentata degli All Blacks, ma anche la maglia del Giappone. Joseph ha giocato sia in Nuova Zelanda che nel campionato giapponese (con i Sanix Blues) cosa che lo rese eleggibile per tale nazione. In carriera vanta la finale RWC 1995, durante la quale partì dalla panchina, e la RWC 1999 giocata con il Giappone. Ha vinto il British & Irish Lions Tour del 1993. Da allenatore ha guidato i Maori All Blacks, gli Highlanders, e i Sunwolves. Con gli Highlanders si è aggiudicato il Super Rugby 2015. Dal 2016 è coach del Giappone, subentrando ad Eddie Jones.
Joe Schmidt - Irlanda
Tanta umiltà ed esperienza in questo allenatore. Schmidt ha avuto una breve esperienza come giocatore (in qualità di estremo) ma un infortunio gli ha chiuso le porte del professionismo. Diventato professore di letteratura inglese in una scuola di Palmerston North, gli venne chiesto di occuparsi della squadra di rugby. In giro per la Nuova Zelanda, le sue qualità di tecnico iniziarono ad essere apprezzate, al punto tale che la NZRFU gli assegnò l'incarico di gestire la Nazionale Scolastica del Paese. Da lì il passaggio al campionato provinciale con i Bay of Plenty; successivamente divenne assistant coach dei Blues. Dal 2007 arriva l'incarico da Clermont, sempre come assistant coach. Si fregia del titolo di Top14 del 2010, fino a che Leinster non gli propone il grande passo: head coach della squadra dublinese. Qui arrivano i grandi risultati: vittoria del Pro12 nel 2012, due Heineken Cup (2011 e 2012) e una Challenge Cup (2013). Schmidt è un grande allenatore, e allora ecco che la IRFU lo contatta per proporgli la panchina dell'Irlanda. Con i Verdi arrivano i grandi successi: tre Sei Nazioni (2014, 2015, 2018) e il premio World Rugby Coach of The Year nel 2018.
Gregor Townsend - Scozia
In carriera fu utility back, con un passato diviso tra Premiership e Top14 (Northamtpon Saints, Brive, Castres e Montpellier) oltre ad una breve parentesi, nel 2004, nel Super Rugby quando vestì la maglia degli Sharks. 83 caps con la nazionale scozzese, con cui ha messo a segno 164 punti, in bacheca vanta lo storico Sei Nazioni del 1999 e la vittoria del Lions Tour del 1997. La sua carriera da allenatore inizia nel 2005, in qualità di coach/giocatore dei Border Reivers, prima di diventare assistant coach della Scozia A nel 2007, e poi assistant della Nazionale Maggiore. Nel 2012 viene chiamato dai Glasgow Warriors, che condurrà alla vittoria del Pro12 nel 2015. Nel 2017 l'incarico da parte della SRU di gestire la Scozia, con cui otterrà il 3° posto al Sei Nazioni 2018, la vittoria della Calcutta Cup contro l'Inghilterra (battuta 25-16 quello stesso anno) e dell'Auld Alliance Trophy contro la Francia.
Lyn Jones - Russia
Classe 1964, proveniente da un villaggio gallese dal nome inpronunciabile: Cwmafan. Jones ha condotto la sua carriera da flanker in Galles, prima a Neath e poi a Llanelli. Con la Nazionale dei Dragoni vanta 5 caps nel 1993. Ha guidato il Neath RFC, con cui ha vinto un campionato gallese. Passato agli Ospreys nel 2003, ha ottenuto il titolo del Pro12 nel 2005 e nel 2007. Passa ai London Welsh nel 2011, in RFU Championship, portandoli in Premiership. Nel 2013 arriva ai Newport Gwent Dragons, e nel 2016 si trasferisce in Namibia, dove allena Welwitschias. Dal 2018 è ct della Russia.
Steve Jackson - Samoa
Il coach neozelandese, che adesso siede sulla panchina dei Manu Samoa, ha un passato come giocatore dei Tasman e di Auckland in ITM Cup. Successivamente ha allenato i Counties Manukau e il North Harbour, prima di passare alla nazionale isolana. Un anno fa parlava di inserire tutti i giocatori che non hanno ricevuto convocazioni da parte degli All Blacks all'interno della rosa samoana, in modo da rivitalizzare la nazionale. È evidente che tutto ciò non è avvenuto.
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Foto Pundit Arena