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Romeo “Meo” Sacchetti è nato a Altamura il 20 agosto del 1953. Da giocatore ha disputato in Nazionale 132 partite, tra il 1977 e il 1986, conquistando l’argento alle Olimpiadi di Mosca (1980), l’oro agli Europei di Nantes (1983) e il bronzo a quelli di Stoccarda (1985). Dal 1 agosto 2017 è ct della Nazionale. Da allenatore ha vinto lo scudetto a Sassari (2015), tre Coppe Italia e una Supercoppa. Nel 2012 è stato votato miglior allenatore della Serie A.

Di Giacomo Bagnasco

Articolo pubblicato su Allrugby numero 136

 

Metti la parola "rugby" in un intervento sul valore economico dello sport per un territorio. E pochi minuti dopo un altro partecipante allo stesso convegno svela pubblicamente la sua ammirazione per la palla ovale. Scatta la curiosità perché l'inatteso fan è nientemeno che Meo Sacchetti, ct della Nazionale di basket nonché allenatore della Vanoli Cremona, che recentemente ha condotto al successo in Coppa Italia. Omone con i baffi noto agli sportivi da quando negli anni ‘70-‘80 conquistava da ala azzurra presenze e allori (compresi un oro europeo nel 1983 e un argento olimpico nel 1980), Sacchetti non è un appassionato di rugby dell'ultima ora e nemmeno della penultima.

   "Lo seguo - racconta - da quando si giocava il Cinque Nazioni e mi è sempre piaciuto il modo di stare in campo con aggressività e sportività nello stesso tempo. Quel discorso dello sport bestiale giocato da gentiluomini mi sembra proprio adeguato, basta pensare al grande rispetto per l'arbitro, una cosa unica. La passione la devo anche a Francesco Pierantozzi (telecronista di punta per SkySport e presidente del Rugby Varese, ndr) e tre anni fa a Dublino sono andato a vedere Irlanda-Scozia: bellissimo spettacolo anche fuori dal campo, con l'amicizia tra i tifosi. Mi hanno detto che i rapporti con gli inglesi sono un po' meno fraterni, ma insomma... Niente a che vedere con il calcio, anche se pure il calcio britannico offre delle belle atmosfere. Mi piacciono queste situazioni, mi sono divertito da spettatore per un Liverpool-Chelsea e vorrei vedere di persona la famosa curva del Borussia Dortmund. Altri sfizi da togliermi? Prima o poi andrò in Nuova Zelanda".

   Un desiderio cui il rugby non può essere estraneo... "Ovviamente no, ho una simpatia speciale per gli All Blacks. Ma anche il Galles mi prende molto, come tutte le realtà piccole che emergono". Detta da uno che come tecnico ha vinto il triplete (campionato, Coppa Italia, Supercoppa) a Sassari, rinverdendo un orgoglio sportivo isolano come non si viveva dai tempi del Cagliari di Gigi Riva, la cosa è perfettamente plausibile. E d'altronde le medio-piccole sono spesso protagoniste in tanti movimenti sportivi: "La tradizione e la storia l'hanno fatta anche loro, dopodiché la risonanza generale che possono dare le grandi città è tutta diversa, per l'interesse dei media e dell'opinione pubblica. Nei grandi centri però è più difficile lavorare, perché sono più dispersivi".

   Intanto il rugby italiano potrebbe conquistare maggiore visibilità vincendo qualche partita. Non sarà, come dice qualcuno, una questione di Dna, di mancanza di spirito di combattimento? "Ma no, io direi invece che ci confrontiamo con squadre che hanno un background diverso. La tv ha aiutato a far conoscere il rugby ma siamo ancora indietro. È una questione culturale: diventiamo canoisti, schermidori, pugili, tiratori con l'arco e velisti per qualche oro alle Olimpiadi, ma facciamo fatica a distribuire ragazzi tra più discipline, anche perché il rapporto tra sport e scuola è da terzo mondo. I giovani dovrebbero essere messi in grado di fare più sport in palestre e campi scolastici. Avremmo, tra l'altro, più praticanti che diventerebbero pure tifosi migliori. E avremmo persone con meno problemi di salute in età avanzata. Detto questo, pensiamo agli eventi che la Nba organizza a Londra e chiediamoci come mai, nonostante questa spinta verso la popolarità, il basket in Gran Bretagna è comunque indietro. Possiamo pensare che gli inglesi non hanno il fisico o il Dna? No, a loro manca la cultura della pallacanestro".

   E poi il discorso del Dna dovrebbe valere anche per le ragazze, ma le nostre sono appena arrivate seconde al Sei Nazioni. "Appunto. Comunque le donne, negli sport di contatto, possono offrire qualcosa di meno a livello di spettacolo ma a volte hanno più intensità degli uomini e sicuramente ci mettono più attenzione e voglia nella preparazione". Ecco, la voglia, la determinazione in allenamento... "È giusto chiedere ai giovani di avere più ambizione e non accontentarsi. Il potenziale c'è e vanno favorite anche le esperienze all'estero. Per il resto, meglio non fare paragoni tra epoche diverse, piuttosto è importante trasmettere la storia dello sport e gli esempi positivi. Le racconto un episodio. In un torneo precampionato marcavo Oscar Schmidt, campionissimo brasiliano con una media superiore ai 30 punti a partita. Lo conoscevo bene e sapevo quello che bisognava fare per cercare di limitare i danni, eppure mi segnò un paio di canestri con un movimento che per lui non era usuale. A fine partita glielo feci notare e lui mi rispose che aveva lavorato tutta l'estate su quel tipo di azione".

   Mano caldissima, quella di Oscar, e in generale mani e statura dei cestisti che servirebbero molto anche nel rugby. "Vero, capisco che i ragazzi più alti pensino prima al basket e alla pallavolo, di cui noi soffriamo la concorrenza. Ad ogni modo le similitudini basket-rugby non mancano. Da noi i contatti non sono così accentuati ma sui blocchi il confronto si fa sentire, la lotta al rimbalzo può somigliare alla touche e quando si cerca di fare un tagliafuori contro gente di due metri e 10 bisogna metterla sul fisico. Maneggiare una palla ovale è più complicato, ma potremmo usarla in allenamento per migliorare le capacità di ricezione".

   Se dovesse indicare un giocatore di pallacanestro che avrebbe fatto bene sui campi con le porte ad acca? "Nessun dubbio: io! Un metro e 97, 112 chili di peso forma e piedi veloci, come aveva notato il padre di un mio compagno di squadra Usa, che infatti mi aveva chiesto se volevo andare negli Usa con una borsa di studio per giocare a football americano. Figurarsi, a quei tempi non sapevo neanche che cosa fosse... Tra i miei giocatori uno adatto al rugby sarebbe stato Rakim Sanders, atleta di forza fisica e agilità straordinarie, che ho avuto a Sassari. Ma ci sono anche dei rugbisti che farebbero bene sotto canestro: a Dublino mi aveva impressionato un seconda linea della Scozia, un biondo (Richie Gray, ndr)".

   World Rugby spinge per ristrutturare il calendario internazionale. In più vorrebbe inserire anche un sistema di promozioni e retrocessioni: che ne pensa? "Un interscambio tra nazioni può essere una buona cosa. Certo che per noi, ad esempio, la retrocessione dalla Serie A alla A-2 è un dramma soprattutto dal punto di vista economico, e immagino che per una federazione sarebbe la stessa cosa dover lasciare il Sei Nazioni, anche temporaneamente. Per questo nel basket abbiamo 5-6 stranieri per squadra, poca possibilità di programmare e di lanciare i giovani italiani. È un problema per la Nazionale, ovvio, ma togliere troppi stranieri abbatterebbe qualità e interesse. Si potrebbe diminuirli un po' per volta, favorendo l'ingresso di ragazzi anche dalla A-2. Però, da ct, aggiungo che gli italiani nelle difficoltà dovrebbero metterci qualcosa di più, lavorare anche individualmente per crescere".

   L'ultimo parallelismo tra palla a spicchi e palla ovale porta a Oriente perché tra estate e autunno quest'anno si giocheranno i mondiali di pallacanestro in Cina e quelli di rugby in Giappone. Sacchetti partirà da un girone a cinque con Serbia, Australia, Angola e Filippine: come dire che le premesse per andare avanti ci sono tutte. Ma che cosa penserebbe se fosse al posto di Conor O' Shea e si trovasse di fronte Nuova Zelanda e Sudafrica con due soli posti per qualificarsi ai quarti? "Penserei che ogni tanto i miracoli succedono...".

 

 

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