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Mai chiamato nelle rappresentative nazionali giovanili. Una lunga gavetta in Serie A, dal Colorno per arrivare al Cus Verona dove ha trascorso tre anni decisivi prima di spiccare il salto nel massimo campionato, intravisto solo brevemente con il Gran Ducato. Due anni in Eccellenza, con le maglie di Petrarca Padova e Mogliano, conquistando a suon di spinte e percussioni in giro per il campo l’attenzione del rugby professionistico. A 27 anni l’esordio in Pro14, nel 2016-2017, con la Benetton Treviso. A 28 quello in Nazionale: una data speciale per lui, quel 10 giugno 2017, contro la Scozia nella scenografica Singapore. Il coronamento di un sogno, inseguito con tenacia e raggiunto per meriti acquisiti sul campo, senza santi in paradiso.

Federico Zani, classe 1989, è il classico outsider che lavorando sodo e credendoci fino in fondo, è riuscito a ritagliarsi uno spazio nel rugby che conta passo dopo passo, maturando esperienze gradualmente, dalla Serie A all’Eccellenza, dal Pro 14 al Sei Nazioni. Pilone sinistro compatto e dinamico, nato a Parma, è approdato alla palla ovale piuttosto tardi per i canoni classici: a 17 anni, un’età in cui solitamente i giovani talenti che aspirano all’alto livello fremono già per avere la loro occasione con gli adulti.

“Prima facevo gare di sci”, racconta il diretto interessato, “Ho iniziato tardi con il rugby ma ho avuto la fortuna di trovare un ambiente positivo per crescere,  al Gran Parma e a Colorno. La svolta decisiva per la mia carriera è capitata a Verona. Quando sono arrivato giocavo tallonatore ma Paolo Borsatto, allenatore degli avanti ed ex pilone del Petrarca, ha visto in me qualcosa di particolare in mischia. La scelta di trasformarmi in pilone sinistro ha fatto la mia fortuna. Sia tecnicamente sia a livello mentale gli anni a contatto con lui e più in generale con l’ambiente del Cus Verona hanno contato tantissimo per la mia crescita”.

Dalla Serie A alla Nazionale il salto è grande, tu l’hai compiuto in tre anni. Come hai fatto?

La cosa più importante, che ho imparato in tutti questi anni, è l’etica del lavoro. Non bisogna mai sentirsi arrivato. E’ un approccio che vale sia nei piccoli club sia e soprattutto tra i professionisti. Per quanto mi riguarda, si è trattato di un lavoro continuo e graduale. Ho passato tutti i vari step del rugby italiano, imparato da tante persone, anche in categorie minori, che in alcuni casi avevano fatto la storia rugby italiano. Da tanti avversari e compagni ho imparato piccoli segreti. A Treviso sto ancora affinando la tecnica di spinta. Mi sono reso conto che prima usavo più la forza fisica, adesso curo molto di più ogni dettaglio”.

Come ha vissuto il passaggio alla Benetton, il confronto con il rugby professionistico?

“Queste due stagioni a Treviso sono state la conseguenza di anni e anni di sacrifici. Ho lavorato tanto per arrivare a questo punto. All’inizio ovviamente non è stato semplice cambiare marcia. Mi sono dovuto confrontare con chi si allenava a questi ritmi da tanto tempo. Ho dovuto portarmi velocemente a livello atletico e fisico, poi partita dopo partita ho cercato di migliorarmi come giocatore in campo. Adesso mi sento molto più competente ma punto a crescere ancora come giocatore. Le chiamate in Nazionale ovviamente hanno aiutato a darmi ulteriore convinzione in quello che sto facendo”.

Che aria tira a Treviso?

“C’è fermento e grande entusiasmo per la nuova stagione. Io come altri nazionali ho iniziato lunedì 9 luglio, gli altri una settimana prima. C’è tanta voglia di ripartire da quanto fatto l’anno scorso. Ci siamo regalati tante emozioni, andando a vincere in casa del Leinster, facendo il nostro record di vittorie consecutive. Lo staff è altrettanto carico e ci sta motivando per esprimerci al 100%”

I nuovi arrivi?

“Con i ragazzi nuovi c’è stato subito feeling. Si sono messi a disposizione del gruppo, ho visto una bella etica del lavoro da parte loro e molta disponibilità a livello umano. A livello di campo abbiamo fatto ancora poco per poter dare un’opinione più tecnica, ma mi sembrano molto impegnati e sono certo che ci porteranno quel qualcosa in più che cerchiamo”.

Punti alla convocazione per i Mondiali 2019?

“Assolutamente sì. L’obiettivo che mi sono dato è di esserci in Giappone e possibilmente ritagliarmi uno spazio da protagonista. Lavorerò sodo per farmi trovare pronto. Anche in Nazionale, c’è voluto un primo periodo di assestamento, per entrare nell’ottica giusta. Oggi mi sento più sereno e fiducioso”.

Com’è il rapporto tra le prime linee azzurre?

“Molto disteso, anche con i ragazzi delle Zebre. Non ci sono grosse rivalità, salvo che ognuno sa di dover lottare per il posto. Stiamo bene insieme, si scherza e ovviamente si parla principalmente di situazioni di mischia, come affrontare certi avversari e metterli in difficoltà”.

Finora chi è il pilone destro che ti ha fatto vedere i sorci verdi?

“Sicuramente dico Samson Lee (Scarlets e Galles, ndr). A livello di Pro14, insieme al tallonatore Ken Owens sono una coppia formidabile. In chiusa sono davvero tosti, secondo me i migliori in circolazione”.

E nelle serie minori chi ti ha dato qualche lezione di mischia?

“In Serie A ho avuto la fortuna di giocare contro Pape (soprannome di Michele Matteralia, ex Cus Padova, Petrarca, Riviera e Rubano, ndr). Al Cus Verona avevamo un’ottima mischia, lui è stato uno dei pochi che mi ha messo in difficoltà, a 40 anni compiuti. Si vedeva tutta l’esperienza che aveva. Pensava solo a giocare e in mischia ti faceva soffrire. Mi sono ispirato a lui come etica e comportamento in campo”.

A proposito, hai fatto i complimenti agli ex compagni di Verona per la promozione in Eccellenza?

“Ho sentito i ragazzi con cui sono rimasto in contatto. Sono felicissimo per loro, non erano favoriti e hanno fatto tanti sacrifici per questo splendido traguardo. Hanno grandi progetti e se dovessi spendere un consiglio per i giovani che ambiscono a crescere direi proprio di andare a Verona”.

 

Foto Alfio Guarise