Conor O’Shea e l’Italrugby: c’eravamo tanto amati (Parte 3)
Cos’è che non ha funzionato nel matrimonio tra Conor O’Shea e la Fir, un connubio che doveva cambiare dalle fondamenta il rugby italiano (parole e musica dell’allenatore irlandese)?
Le incomprensioni sono state molte, da entrambe la parti. Ci sono stati errori e sottovalutazioni. Alla fine, la separazione è stata consensuale, non una guerra dei Roses. Non importa chi abbia fatto il primo passo. Il dato più importante è stato la mancanza di risultati: un matrimonio senza figli è come un albero senza frutti. Qualcuno prima o poi lo taglia.
Note a margine sui quattro anni di Conor O’Shea e la scelta del suo sostituto. Chi dopo Rob Howley?
Articolo pubblicato su Allrugby numero 140
C’eravamo tanto amati
A primavera del 2019 la Fir comunica a Mike Catt che non gli sarà rinnovato il contratto, in scadenza dopo il Mondiale. Al suo posto viene ingaggiato Franco Smith: l’annuncio del suo trasferimento in Italia, a sorpresa, viene dato ad aprile dai Cheetahs. Catt paga il terzo Sei Nazioni consecutivo (il quarto se si conta anche l’ultimo di Brunel) senza una vittoria. Gli si rimproverano la povertà nel gioco d’attacco della squadra e le sue lunghe assenze dall’Italia. È il primo segnale della fine dell’amore tra O’Shea e la Fir: Catt faceva parte del progetto che il ct irlandese aveva portato nel nostro Paese tuttavia il rinnovo del contratto di Conor è a un passo, nessuno ancora lo mette in discussione. Catt è il prezzo che O’Shea deve pagare se vuole restare.
Il coach però comincia a rendersi conto che i suoi metodi in Italia non funzionano. Vorrebbe avere tutto sotto controllo, la Nazionale, le franchigie, i permit, le accademie. Combatte però lo fa alla sua maniera: le critiche non sono mai troppo dirette, i messaggi sibillini.
Quando a dicembre 2018, assistendo seduto in tribuna allo stadio Lanfranchi al primo derby stagionale di PRO14 tra Zebre e Treviso, le quattro ali in campo tutte straniere (Elliott e Balekana nella Zebre, Ratuva e Ioane nel Benetton) gli è balenato in testa un pensiero: “che ci faccio qui?”.
Con la famiglia lontana, l’estate convince O’Shea che per lui non c’è futuro in Italia. Il divorzio è servito senza tante lacrime, né dall’una né dall’altra parte.
L’addio
Tre mesi di intensa preparazione avevano illuso lo staff di aver costruito in vista del Mondiale l’Italia meglio allenata di sempre. Le amichevoli con la Francia e l’Inghilterra hanno riportato tutti con i piedi per terra: la squadra nonostante l’impegno non regge il confronto né fisicamente, né tecnicamente. Si batte ma viene travolta. Conor è deluso, tanto lavoro ma in mano niente.
Dopo la partita di Newcastle contro l’Inghilterra, su BSKYB, Will Greenwood, il centro campione del Mondo nel 2003, si lancia in una difesa a spada tratta del ct dell’Italia. “Vi ricordate quando Will Carling disse che la RFU era governata da un pugno di vecchi tromboni? In Italia i tromboni sono molti di più, sono centinaia. Ed è contro di loro che Conor sta combattendo la sua battaglia. Bisogna dargliene atto e sostenerlo”.
Dunque il bilancio di questi tre lunghi anni è una separazione finale senza appello. O’Shea ci considera complicati, bizantini, contorti, incapaci di recepire le direttive e agire di conseguenza. Ci descrive all’estero come “tromboni”. L’Italia si aspettava da lui il miracolo, ma l’uomo si è concentrato sul panorama generale, ci ha raccontato aneddoti, ha scritto ricette e non ha ottenuto nemmeno un risultato. E senza risultati la nostra visibilità è arrivata ai minimi termini.
Il libro dei sogni non si è avverato. “Pensavo foste più ricettivi – il testamento di Catt, che a gennaio sarà in panchina con l’Irlanda -. Alcune cose si potevano fare, per accelerare la vostra crescita, ma voi avete un’altra agenda…”. C’eravamo tanti amati. Amen
Il futuro
Per il dopo O’Shea l’Italia si è rivolta a Wayne Smith. “Prendete Dave Rennie (Glasgow Warriors) è uno dei primi tre del mondo”, è stato il suo consiglio. Ma Rennie ha preferito l’Australia. Vern Cotter? Duro e troppo caro. La scelta era caduta su Rob Howley, prima che la vicenda delle scommesse riportasse tutto in alto mare.
E adesso? Franco Smith è un uomo di campo. O’Shea era il director of rugby, l’uomo che governava la filiera, sussurrava all’estero, ci faceva da ambasciatore. Un altro con le sue caratteristiche in circolazione probabilmente non c’è. Serve un tecnico che tiri fuori il meglio da quello che abbiamo, senza alibi e senza vie d’uscita. Magari un italiano.
Leggi anche:
Conor O’Shea e l’Italrugby: c’eravamo tanto amati (Parte 1/3)
Conor O’Shea e l’Italrugby: c’eravamo tanto amati (Parte 2/3)
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