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"La capacità di Calder di usare la sua tecnica, la determinazione e la conoscenza innata del gioco hanno fatto in modo che non si notassero i suoi difetti (in particolare, è sempre stato un po’ lento) e lo hanno aiutato a diventare una delle terze linee più efficaci dell’era moderna. Se lui e le altre due terze linee del Grande Slam del 1990, John Jeffrey e Derek White, non riuscivano ad imporre il proprio gioco, facevano almeno in modo che gli avversari non imponessero il loro." (Richard Bath)

"Forse sono troppo vecchio per giocare a rugby, ma non oggi." (Finlay Calder)

Duro come il granito, ma notoriamente umile, l’openside flanker Finlay Calder ha ottenuto 34 caps per la Scozia, con l’onore di esserne stato il capitano nel 1988 e di conquistare il leggendario Grande Slam del 1990. Fin è stato anche capitano dei British Lions durante il vittorioso tour in Australia del 1989, diventando l’unico skipper del 20° secolo ad avere condotto la squadra in maglia rossa alla conquista di una serie dopo aver perso il match di apertura.


 

Finlay Calder è nato il 20 agosto 1957 a Haddington, antica cittadina scozzese nella regione di East Lothian, e ha studiato presso lo Stewart's Melville College di Edimburgo.

Il ragazzo ha iniziato l'avventura ovale proprio nel XV del college, lo Stewart's Melville Former Pupils Rugby Football Club, dove ha speso tutta la sua carriera. Con lui c’era il gemello Jim, il quale avrebbe anch’egli indossato la divisa della nazionale scozzese e dei Lions. I due Calder, però, non hanno mai giocato assieme alcuna partita in quanto Jim, che aveva debuttato nel 1981, ha guadagnato il suo ultimo cap contro il Galles nel marzo 1985, mentre Fin ha esordito soltanto l’anno successivo.

La prima partita con il Cardo Finlay l’ha disputata il 18 gennaio 1986, a 28 anni suonati. Era l’inizio del Cinque Nazioni e a Murrayfield era ospitata la Francia, squadra che l’anno precedente era arrivata seconda alle spalle dell’Irlanda. La Scozia presentava un nuovo allenatore, Derrik Grant, costretto a sostituire un mito quale Jim Telfer, e tanti volti nuovi: oltre a Calder, infatti, quel giorno hanno ottenuto il primo cap personaggi quali David Sole, i fratelli Gavin e Scott Hastings, Matt Duncan e Jeremy Campbell-Lamerton, figlio del più famoso Mike Campbell-Lamerton. Capitano era il tallonatore Colin Deans, mentre in terza linea con Calder erano schierati lo Squalo Bianco John Jeffrey e il Numero 8 John Beattie. Les Bleus hanno marcato due mete, hanno realizzato due piazzati e anche un drop, ma ai padroni di casa è bastato un eccezionale Gavin Hastings, il quale ha calciato tra i pali 6 penalties. La sfida è terminata 18 a 17 a favore degli uomini di Grant.

La seconda giornata la Scozia ha perso 15 a 22 a Cardiff, pur avendo superato tre volte la linea di meta con Matt Duncan, John Jeffrey e Gavin Hastings. Poi, al terzo turno, è arrivato il botto contro l’Inghilterra. Il XV del Cardo ha asfaltato gli odiati cugini con il punteggio di 33 a 6. Tre mete marcate da Matt Duncan, John Rutheford e ancora Hastings, tutte trasformate da quest’ultimo, il quale ha realizzato anche 5 piazzati. Per i bianchi solo due penalties di Rob Andrew. È stata questa una delle peggiori sconfitte inglesi nella storia della Calcutta Cup.
L’ultima giornata era decisiva per la conquista del titolo. Scozia e Francia si trovavano appaiate  in cima alla calssifica e, non essendoci ancora la differenza punti, bastava una vittoria per concludere da campioni. Les Bleus avevano una partita tranquilla in casa con l’Inghilterra; gli Highlanders, invece, dovevano recarsi a Dublino per affrontare i campioni in carica dell’Irlanda, anche se il Trifoglio in quel torneo non aveva ancora vinto una sola partita. A Parigi è finita con la vittoria della squadra di Serge Blanco e Philippe Sella. Al Lansdowne Road, alla marcatura di Roy Laidlaw hanno fatto seguito due calci di Big Gav. Tanto è bastato agli uomini di Derrik Grant per imporsi con il punteggio di 10 a 9; un solo punto che ha regalato loro il titolo del Cinque Nazioni a due anni dal Grande Slam.

Il 7 ottobre, sempre del 1986, Finlay ha disputato la sua prima partita con i Barbarians. Quel giorno il club ad inviti ha incontrato il Newport al Rodney Parade, vincendo 50 a 17. Lo scozzese, che ha marcato una meta, in seguito avrebbe indossato i colori bianco-neri in altre quattro occasioni.


La stagione seguente la Scozia ha vinto le due partite interne con Irlanda e Galles, ma è tornata sconfitta da entrambe le trasferte. Poi, in primavera, il flanker è volato in Nuova Zelanda dove ha disputato la prima edizione della Coppa del Mondo di rugby.

Gli Highlanders hanno iniziato il torneo pareggiando 20 a 20 contro i francesi, freschi vincitori del Grande Slam, grazie alla marcatura di Matt Duncan a tempo scaduto. Solo l’errore sulla trasformazione di Gavin Hastings non ha concesso al XV capitanato da Colin Deans una vittoria che, probabilmente, avrebbe cambiato il corso del mondiale.
Le due sfide successive sono state facili vittorie con lo Zimbabwe e la Romania, ma l’incapacità scozzese di mettere insieme un numero di punti maggiore rispetto ai Galletti ha fatto sì che essi si classificassero secondi nel girone; una posizione scomoda, dato che nel quarto di finale hanno trovato gli All Blacks. La partita è stata persa 3 a 30 per buona pace di tutti, anche se non era quella la gara dove testare la reale forza della Scozia, in quanto i padroni di casa erano una spanna sopra tutti e nel corso del torneo hanno travolto ogni avversario senza particolari patemi.
Dal canto suo Calder ha giocato tutte e quattro le partite nelle quali è stata coinvolta la sua nazionale, in terza linea con John Jeffrey, Derek Turnbull e Iain Paxton, comportandosi sempre in modo egregio.

Nel 1988 il XV del Cardo ha trovato solo una vittoria nell’arco del Cinque Nazioni, quella casalinga contro la Francia. Il terza linea dello Stewart’s Melville ha ottenuto la sua prima meta internazionale nella sfida contro il Galles all’Arms Park.
Il più grosso dispiacere per gli Highlanders nel torneo è stato quello di essere sconfitti 6 a 9 dagli inglesi a Edimburgo. Quella giornata, però, sarà per sempre ricordata a causa di un episodio che, nonostante il suo carattere spiacevole, con gli anni ha raggiunto uno status quasi leggendario. Dopo una partita asfittica, dove Rob Andrew ha centrato i pali con un drop, mentre Gavin Hastings e Jon Webb hanno calciato due punizioni a testa, tra cui una da 50 metri dell'inglese, le squadre si sono ritrovate per il rituale terzo tempo. Gli atleti, com'era prevedibile, hanno prosciugato tutte le bottiglie di whiskey e hanno cominciato a fare un po' di baccano. Nella bolgia, John Jeffrey ed il poliziotto inglese Dean Richards, quest’ultimo con sulla testa una teiera a mo' di cappello, hanno riempito la Calcutta Cup di champagne. Una volta lanciato il famoso spumante in faccia a Brian Moore, i due sono usciti dall'hotel e lungo la strada lastricata del Royal Mile hanno cominciato a giocare a calcio usando il trofeo come palla. Lo scozzese è stato squalificato per sei mesi, l'inglese, invece, soltanto una giornata. Un gioielliere di Edimburgo ha fatto del suo meglio per battere il vecchio trofeo malconcio e farlo tornare in forma.

Il torneo dell’anno successivo ha visto il nuovo allenatore Ian McGeechan concedere a Finlay l'onore di essere il capitano della nazionale al posto del dimissionario Gary Callander e lui l'ha condotta al secondo posto del Cinque Nazioni dietro la Francia. Contro i loro odiato cugini inglesi gli uomini di Calder sono riusciti a compiere l’impresa di pareggiare 12 a 12 a Twickenham, grazie alla meta di John Jeffrey e i punti al piede di Peter Dods. È stato questo l'ultimo risultato utile degli Highlanders nel tempio del rugby londinese. Da allora, infatti, hanno sempre perso.

Il 1 aprile 1989 Fin ha giocato con i Barbarians all’Hong Kong Seven, una squadra composta da cinque scozzesi (c’erano anche John Jeffrey e Scott Hastings) tre gallesi e l’inglese Stuart Barnes. Il torneo è stato vinto dalla Nuova Zelanda.

Nella primavera dello stesso anno Calder è stato convocato da Ian McGeechan per intraprendere il tour in Australia con i British & Irish Lions. Questo rende Finlay e Jim Calder (che era stato in tour nel 1983) gli unici gemelli ad aver giocato per la selezione itinerante britannica. Al ragazzo è stato offerto anche il ruolo di capitano. In realtà lo skipper doveva essere Will Carling, ma questi si è infortunato dando via libera al flanker, il quale è diventato così il primo giocatore scozzese a ricevere tale onore dai tempi di Mike Campbell-Lamerton nel 1966. Alla fine sarebbe diventato anche il primo capitano a guidare i rossi alla vittoria dopo Willie John McBride nel 1974, nonché l'unico del ventesimo secolo a conquistare una serie dopo avere perso il primo match..

Nonostante il suo ruolo di capitano, Finlay è stato ben presto messo sotto pressione dalla forte concorrenza dell’openside flanker inglese Andy Robinson. Tra l’altro, un infortunio al bicipite femorale all’inizio del tour ha rallentato la sua preparazione, ma lui ha dimostrato il proprio valore con un gioco dinamico e distruttivo nella gara con Queensland e alla fine ha disputato sei partite, compresi tutti i tre test match, in terza linea con Dean Richards, Mike Teague e Derek White.

Dopo avere perso il primo test 12 a 30 con una performance davvero poco brillante, i Leoni sono stati costretti a rifarsi in quello successivo, al Ballymore Stadium di Brisbane. In quel match i rossi hanno raggiunto una sofferta vittoria per 19 a 12, grazie alle mete nel finale di Jeremy Guscott e Gavin Hastings, quando a pochi minuti dalla fine gli australiani conducevano 12 a 9. L’incontro sarà sempre ricordato come “La Battaglia di Ballymore”, a causa dell’epica rissa che ne è scaturita. Il tutto è iniziato quando il mediano di mischia dei Wallabies Nick Farr-Jones, dopo avere introdotto l’ovale nella mischia, ha allontanato con una spinta il numero 9 opposto, il gallese Robert Jones, il quale ha reagito rifilando al rivale un paio di pugni. A quel punto tutti si sono messi a darsele di santa ragione, con sugli scudi i tre poliziotti inglesi Wade Dooley, Dean Richards e Paul Ackford ed il flanker Mike Teague. Calder è risultato essere un attore determinante per quanto riguarda la vittoria della partita, un successo che ha dato ai rossi lo slancio necessario per aggiudicarsi la serie. Così come ha guidato le sue truppe verbalmente e controllandone la direzione della furia dopo che avevano iniziato l’incontro di cattivo umore, il suo gioco di sostegno e la sua pulizia attorno al pack sono stati cruciali nella costruzione di piattaforme dalle quali i Lions sono partiti per realizzare le loro due marcature.

Il terzo e decisivo test è andato in scena il 15 luglio 1989 a Sydney ed è stato vinto dagli uomini di McGeechan. Decisivo è risultato un clamoroso errore di David Campese. Il trequarti australiano ha recuperato l’ovale in area di meta a seguito di un drop sbagliato da Rob Andrew, ma, anziché calciare lontano o involarsi in una delle sue folli corse, ha pensato di passare la palla al compagno Greg Martin, nonostante si vedesse chiaramente che l’estremo non aveva alcuna possibilità di prenderla. L’ala Gallese Ieuan Evans si trovava nel posto giusto al momento giusto, si è impossessato dell’ovale e, senza neppure ringraziare, ha spinto da parte Martin e marcato la meta. La partita è terminata 19 a 18 per i britannici e con essa è stata conquistata una serie che mancava loro dal lontano 1974.

La piena misura del valore di Calder, poi, è stata vista non solo in campo ma anche fuori di esso, nel momento in cui lui e l’allenatore Ian McGeechan hanno dovuto difendersi dal peso di una campagna mediatica orchestrata contro i Lions sul loro presunto gioco falloso, in particolare dopo il secondo test match. Lo sguardo d'acciaio del capitano scozzese ha respinto tutti i tentativi di destabilizzare i propri uomini e lui e i suoi avanti hanno avuto l’ultima parola a Sydney, quando hanno freddamente smantellato il pack dei Wallabies gettando le basi della loro vittoria. Tre anni dopo aver fatto il suo debutto internazionale, Fin è entrato nella storia.


Se per Finlay il 1989 è stato memorabile, la stagione 1990 è risultata praticamente perfetta.

La serie del Cinque Nazioni ha visto sia Inghilterra che Scozia vincere entrambe i loro primi tre incontri, arrivando così a giocarsi tutto, Campionato, Grande Slam, Triple Crown e Calcutta Cup, l’ultima giornata a Murrayfield. Nelle partite precedenti gli uomini di McGeechan avevano prima sconfitto l’Irlanda a Dublino per 13 a 10, in quello che è stato definito il match più brutto del torneo, caratterizzato da due mete di Derek White, poi la Francia a Murrayfield con il punteggio di 21 a 0, con Finlay Calder che ha fatto registrare la sua seconda meta personale, e il Galles a Cardiff per 13 a 9.
Anche il XV della Rosa era ancora imbattuto, ma aveva dimostrato di giocare meglio e di sapere portare attacchi più incisivi. Per questo motivo, secondo loro, a Edimburgo sarebbe stata una passeggiata. Già dal modo in cui sono entrati in campo, però, si è capito che gli scozzesi erano più determinati di quello che si pensava. Un ingresso lento, quasi dimesso, che è diventato leggenda. Il capitano David Sole a capo della fila: l’ovale sotto il braccio e lo sguardo fiero. A dire il vero Calder era contrario a questo ingresso funereo, in quanto era già stato usato dai Lions nel primo test con i Wallabies, dov’erano stati bastonati. Comunque sia la squadra si è schierata al centro del campo per cantare Flower Of Scotland, l’inno nuovo di zecca adottato quell'anno per sostituire l'opprimente God Save The Queen. Al suono delle cornamuse dagli spalti si è alzato un coro di migliaia di voci da far venire la pelle d’oca. Uno sfogo anche extra sportivo, una condanna alla Community Charge, la tassa sulla persona imposta dalla Lady di ferro Margaret Thatcher proprio in Scozia.

Dopo il fischio d'inizio la Scozia ha iniziato subito ad imporre il proprio gioco. Nella prima azione si è visto un carrettino blu notte che travolgeva i giocatori con la Rosa, una valanga che è avanzata per oltre quindici metri senza possibilità di arresto. Da qui è nato il penalty, da ragguardevole distanza, con cui l’apertura Craig Chalmers ha portato avanti i suoi. Poco dopo un altro calcio di punizione dello stesso Chalmers, questa volta di fronte ai pali, ha mosso lo score sul 6 a 0.
A quel punto gli inglesi sono entrati in gara e il vantaggio è stato ridotto grazie ad una splendida meta di Jeremy Guscott. Il principe dei centri ha ricevuto l’ovale in velocità dal suo capitano Will Carling, ha finto un passaggio all’esterno, ha raddrizzato la corsa e s’è infilato nel buco lasciato libero dal difensore scozzese, resistendo al placcaggio tentato in extremis dal mediano di mischia Gary Armstrong. Gli scozzesi, però, sono rimasti avanti nel punteggio in quanto la marcatura non è stata trasformata. Anzi, un terzo calcio di punizione di Chalmers, calciato da lontano e con tanto di Gavin Hastings a tenere il pallone fermo con la mano a causa del vento, ha permesso ai padroni di casa di chiudere il primo tempo sul 9 a 4.
La ripresa si è aperta con gli Highlanders che hanno vinto una mischia a metà campo. La palla è stata raccolta da John Jeffrey, che l’ha passata a Armstrong, il quale, a sua volta l’ha ceduta a Hastings. L’estremo ha corso qualche metro ed è riuscito a calciare in avanti giusto un attimo prima di essere spinto fuori dal campo. Con i suoi rimbalzi bislunghi la palla è finita in area di meta, inseguita dal numero 14 scozzese Tony Stanger e dal numero 11 inglese Rory Underwood. Il più veloce è stato il primo, che l’ha afferrata e schiacciata a terra, marcando così la meta più importante dell’intera stagione.
A quel punto è stata solo una battaglia di trincea, con gli inglesi che si sono buttati in avanti a testa bassa e i padroni di casa a difendere il “Vallo di Adriano” con i denti. A sfondare ci hanno provato Will Carling, Rory Underwood e Richard Hill, ma si sono immancabilmente schiantati contro il muro eretto dai vari John Jeffrey, Finlay Calder e Scott Hastings. Da questo avanzamento i bianchi hanno guadagnato solo 3 punti con il piede di Hodgkinson, che hanno fissato il punteggio sul 13 a 7, rimasto tale fino a quando l’arbitro neozelandese David Bishop ha fischiato la fine. Allora è successo il finimondo. Il pubblico ha invaso il campo come un fiume in piena, circondando i propri eroi per portarli in trionfo. La Scozia quel giorno ha vinto il Cinque Nazioni, il Grande Slam, la Triple Crown, la Calcutta Cup, ma soprattutto ha sconfitto gli odiati rivali che abitano a sud. Era quello il secondo Slam scozzese in sei anni, un risultato fenomenale se si considera che era stato raggiunto da un Paese che sì, è di grande tradizione rugbistica, ma con risorse relativamente limitate.


Più avanti nell’anno Calder ha intrapreso con la propria nazionale un tour in Nuova Zelanda. Nonostante la sconfitta per 2 a 0 nella serie, gli scozzesi hanno giocato con il loro abituale coraggio e la solita grinta, uscendone a testa alta. Soprattutto nel secondo test all’Eden Park di Auckland, disturbato da venti e pioggia, gli uomini di Ian McGeechan sono giunti ad un niente dal battere per la prima volta gli All Blacks. Solo la precisione al piede del cecchino neozelandese Grant Fox ha salvato i padroni di casa. Gli Highlanders hanno marcato due mete, con Tony Stranger e Alex Moore, contro una del pilone Richard Loe per gli avversari, e hanno chiuso il primo tempo in vantaggio 18 a 12. Il primo tempo, però, era stato giocato con il vento a favore e questo aveva favorito due punizioni centrate da oltre metà campo da Gavin Hastings. Nella ripresa, invece, il vento era contro e gli scozzesi non sono più riusciti a fare punti, mentre l’apertura All Black ha centrato l’acca con tre punizioni che hanno regalato la vittoria alla sua squadra.
A dare soddisfazione sono state anche le cinque vittorie e un pareggio nei match non ufficiali, un traguardo che il XV del Cardo non era mai riuscito a raggiungere nella sua lunga storia.

A fine anno, durante la cerimonia dei New Year Honours, Finlay è stato insignito dell’Ordine dell'Impero Britannico.

A causa di un infortunio il flanker dello Stewart's Melville non ha preso parte al Cinque Nazioni del 1991, ma in autunno è stato selezionato per partecipare alla Coppa del Mondo in Inghilterra.

Il cammino iniziale della Scozia in quel mondiale non è stato troppo difficile, con tutta la fase a gironi giocata davanti alla folla appassionata di Murrayfield. Giappone e Zimbabwe (con questi ultimi Calder è rimasto a riposo) hanno subito pesanti passivi, mentre l'Irlanda è stato l’avversario più difficile, anche se in quei giorni raramente gli Highlanders avevano problemi contro gli irlandesi, sia in casa che a Dublino. Alla fine la partita è terminata 24 a 15.
Ai quarti di finale gli uomini di Ian McGeechan si sono sbarazzati delle Western Samoa, squadra che aveva eliminato il Galles, vincendo con il punteggio di 28 a 6, con una meta di Tony Stanger e doppietta di John Jeffrey. A quel punto, però, ecco di nuovo l’Inghilterra.

Quando gli Auld Enemy sono arrivati a Edimburgo per la semifinale, un anno dopo avere perso il Grande Slam, gli scozzesi sapevano che non sarebbe stato un pomeriggio facile. I bianchi si erano già vendicati della Scozia a febbraio, avevano conquistato il Grande Slam e nel torneo iridato si erano imposti sulla Francia a Parigi. La loro intenzione era quella di giocare la finale nello stadio di Twickenham. Il XV della Rosa non avrebbe commesso gli errori dell’anno precedente e Finlay Calder e compagni sapevano che i loro attaccanti avrebbero cercato di aggredirli sulle fasce, dove i signori Wade Dooley e Paul Ackford potevano controllare il possesso inglese e gestire le rolling maul, così difficili da difendere. Gli scozzesi sapevamo anche che l'Inghilterra avrebbe cercato di essere superiore in mischia, non essendo riuscita a capitalizzare il loro vantaggio con il pack la volta precedente.
L'attesa per il match era enorme. Centinaia di persone si erano accampate fuori Murrayfield durante la notte per comprare i biglietti e la maggior parte di loro sembrava convinta che una seconda vittoria consecutiva con gli odiati cugini sarebbe stata certa. In campo gli Highlanders si sono presi subito un piccolo vantaggio con Gavin Hastings, ma è stato costruito su basi piuttosto traballanti. Quando l'estremo ha sbagliato un calcio semplice è iniziato a farsi largo tra i giocatori in maglia blu l’idea che non sarebbe stato il loro giorno. La compostezza degli inglesi era snervante; sembrava che potessero resistere a qualunque cosa gli scozzesi cercassero di fare contro di loro senza farsi prendere dal panico, cosa che non era avvenuta l'anno prima.
Mentre il match volgeva al termine con le squadre ancorate sul pareggio, il drop di Rob Andrew a 5 minuti dal termine ha gelato i padroni di casa. L’Inghilterra ha vinto 9 a 6 e ha raggiunto la finale di Coppa del Mondo. Gli scozzesi, invece, non hanno potuto che confermare di essere giunti alla fine di un ciclo.

Il 30 ottobre 1991, sull’erba dell’Arms Park di Cardiff è andata in scena la finale di consolazione tra Scozia e Nuova Zelanda, con questi ultimi che si sono imposti con il risultato di 13 a 6, marcando una meta con Walter Little a tempo quasi scaduto. È stata questa l’ultima partita di Finlay Calder con la maglia della propria nazionale.

Nel 2009 Calder si era candidato alle elezioni per diventare presidente della Scottish Rugby Union, ma alla fine la carica è stata affidata nuovamente a Jim Stevenson.

 

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