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In Scozia è andata in scena una partita che gli appassionati di rugby hanno ormai visto decine di volte negli ultimi dieci anni. La nostra Nazionale maschile non riesce a maturare un’identità che si trasformi sul campo in un gioco strutturato ed efficace, in più da tempo non riesce a mostrare una difesa capace di mettere una reale pressione agli attacchi avversari.

Nella frustrazione del fine partita, tifosi e addetti ai lavori cercano le cause dell’incapacità dell’intero movimento maschile di essere competitivo ad altissimo livello, si fanno domande e spesso si rispondono da soli. Già prima del match con la Scozia giornalisti, commentatori ed ex dirigenti hanno detto la loro su questo tema, trovandosi d’accordo su un punto: in Italia non si investe sulla formazione dei giocatori e nemmeno su quella dei tecnici.

Io farei un passo indietro, ripartendo dalla famosa citazione di Albert Einstein che, in verità, esprimeva in quel caso solo un concetto di buon senso: Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a comportarci nel solito modo”.

Dov’è che la Nazionale dovrebbe cambiare davvero, da subito, per migliorare i risultati, nonostante il ricambio generazionale, nonostante Parisse, nonostante giocatori apprezzati a livello internazionale, nonostante uno staff che definire “incompetente” è da pazzi?

Nell’immediato, in almeno due cose.

La prima riguarda la gestione delle partite. Continuiamo a vedere una squadra che fatica a reagire alle difficoltà e che non riesce a interpretare i trend, che non riesce mai a trovare la strada per mettere pressione in modo continuativo agli avversari (l’unico modo per vincere, oggi, a livello internazionale).

La seconda riguarda la retorica dell’impegno e della volontà. Nessuno può mettere in dubbio che i tanti giocatori che si sono alternati in Nazionale negli ultimi si siano impegnati per dare il massimo. Sarebbe l’ora però di realizzare che voler dare il massimo non equivale automaticamente a riuscirci. Non è solo questione di abilità e di volontà, ma anche di capacità di trasformarli in prestazione.

Sì, sicuramente è una questione di formazione, ma non forse come viene intesa da illustri commentatori. E’ una questione di visione, cioè di inquadrare il gioco del rugby come un gioco estremamente complesso soprattutto dal punto di vista mentale. Senza questa consapevolezza, che in molti altri paesi rugbistici è una solida realtà, difficilmente faremo ulteriori progressi perché qualsiasi abilità eccellente puo’ diventare goffa e inutile se il giocatore non sa rimanere con la testa sul campo in modo lucido e consapevole.

La nostra Nazionale maschile ha dunque bisogno di strutturare sul campo dei propri riti consolidati, di squadra, che ne costituiscano ogni fase di gioco e che pongano la base per quello che O’Shea ha sempre invocato: la capacità dei giocatori di rimanere concentrati esclusivamente sulla loro prestazione. Questo può e dovrebbe essere fatto subito.

 

 

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Foto Pino Fama

 

 

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