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Diciamoci la verità: nella vita di tutti i giorni non siamo esattamente circondati da esempi illuminanti di leadership. Anzi, quando sentiamo qualcuno pronunciare questa sfuggente parola inglese, leadership, abbiamo tutte le ragioni per preoccuparci e preparare una scusa qualsiasi per allontanarci il più possibile da chi l'ha pronunciata. Il fatto è che, sia che si tratti di vita pubblica, di imprenditoria o di altri ambienti sociali, chi viene additato (o chi si auto-nomina) come leader è spesso molto lontano dai due concetti fondanti di responsabilità e gestione del rischio.

Falso leader è spesso chi impone agli altri il peso delle responsabilità, prontissimo a cogliere eventuali frutti così come a cercare eventuali colpevoli.

Caratteristica evidente del falso leader è quindi quella di star lontano dai rischi, adocchiandoli ogni tanto solo con un potente binocolo.

In questo, lo sport e la vita hanno moltissimi punti in comune.

Come è stato scosso, questo nostro scetticismo, guardando l'Italia affrontare una delle due squadre più in forma del mondo, l'Inghilterra, nella incredibile cornice di Twickenham! Disabituati a veder applicati concretamente i concetti descritti poc'anzi, la strategia preparata dallo staff italiano e applicata con diligenza dalla squadra ha avuto l'effetto immediato di risvegliare l'orgoglio di giocatori e tifosi.

Abbiamo visto infatti uno staff che si è preso responsabilità e rischi di una strategia nuova, affrontando serenamente un cambiamento epocale non solo per la nostra nazionale, ma forse (come sostiene qualcuno con calcolata esagerazione) per tutto il movimento rugbistico.

Si è visto concretamente applicato il mantra di Conor O'Shea: a me le responsabilità complessive, ai giocatori quelle dei singoli gesti e delle singole prestazioni. Del resto, come scuotere una squadra attanagliata dal pensiero della sconfitta, se non fornendo un buon esempio di come si può cercare di cambiare, con coraggio e serenità assieme?

Dall'altro lato del campo, cioè da quello inglese, sono arrivate conferme ancor più brillanti di quello che vado scrivendo in questa rubrica ormai da alcuni mesi e che i lettori più assidui avranno ormai imparato a riconoscere. Se la prestazione ottimale si raggiunge riuscendo a concentrarsi esclusivamente sui singoli gesti, allora è possibile renderla irraggiungibile agli avversari fornendo loro una “distrazione” tanto potente quanto la loro concentrazione.

Analizzando invece la prestazione italiana con la Francia, ci siamo ritrovati davanti a un solito, ottimo primo tempo che si è subito sciolto al sole romano dopo il rientro dagli spogliatoi. Perché questo italianissimo “mistero del secondo tempo”?

Il principio sottostante può essere proprio quello della distrazione poc'anzi menzionata. Distogliersi anche solo per pochi minuti dall'applicazione di un compito complesso può rompere quella magia fatta di un mix delicatissimo di concentrazione e di giusto livello tensione.

Per chi è sotto pressione e per chi fatica a metterlo insieme, ritrovare le giuste dosi di quel mix può diventare molto difficile. 

Non per altro, in molti altri sport il “time out” è tutt'altro che un momento di riposo: è spesso un momento per tentare di incrinare le rinnovate certezze degli avversari. 

 

Foto Fotosportit