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Lo stato psicologico con il quale un atleta gioca o si allena non è immutabile, anzi: è soggetto a molti fisiologici cambiamenti che nella maggior parte delle occasioni non sono volontari, cioè non dipendono da una decisione razionale della persona.

Tra l'aspetto mentale, l'aspetto tecnico e l'aspetto fisico di una prestazione sportiva c'è uno stretto collegamento, perché tutti e tre sono regolati dal nostro sistema nervoso. Saper modulare e ottimizzare il livello di tensione mentale diventa allora un aspetto fondamentale per ottimizzare anche la nostra prestazione.

In questo articolo propongo alcuni semplicissimi esercizi che possono aiutarci ad andare in questa direzione.

 

Primo esercizio: la domanda giusta per i momenti no

Qualsiasi evento negativo che accada in campo o fuori, se ci facciamo la domanda giusta evitiamo pericolosi sovraccarichi di tensione. Se c'è stato un litigio con un compagno di squadra, se abbiamo commesso un errore banale in un momento importante di un match, se affrontiamo un calcio decisivo, se abbiamo subito una meta a freddo, proviamo a chiederci: posso sopportarlo?

Posso sopportare l'errore, la delusione, la rabbia, la fatica, l'ingiustizia?

La risposta è retorica nella stragrande parte delle occasioni: sì, posso sopportarlo, andare oltre e riuscire di nuovo a concentrarmi al massimo sui singoli gesti che mi sono richiesti dal mio contributo alla squadra.

Ovviamente, è del tutto normale che un atleta debba porsi questa domanda alcune decine di volte durante un singolo match.

 

Secondo esercizio: guardare oltre

Una persona in ansia teme inconsciamente di dover affrontare di continuo un pericolo imminente. E' per questo che starà spesso a testa bassa, guardando fissamente davanti a sé. Il secondo esercizio va nella direzione opposta a questa.

Fermarsi un attimo a osservare attentamente  il pubblico, una nuvola che passa, il vento che scompiglia la bandierina dei 22, un compagno che recupera dalla fatica di una corsa ci aiuta a rimettere ogni cosa al loro posto: non esistiamo solo noi, non esistono solo le nostre ansie, siamo parte di un tutto e più lo accettiamo, più possiamo accettare serenamente anche le nostre emozioni.

 

Terzo esercizio: parole, parole, parole

Le parole traducono i nostri pensieri, danno loro forma e intanto trasferiscono fuori di noi una parte delle nostre energie mentali sotto forma di onde sonore. Urlare ci scarica in modo pratico e veloce e può essere utile per rimediare a evidenti sovraccarichi di tensione. Parlare, invece, è un modo per rifinire il nostro stato emozionale, per modularlo in modo più raffinato. Il terzo esercizio, allora, consisterà nello scambiare opinioni con gli altri compagni di squadra, in ogni occasione utile. Non potrà trattarsi di un monologo: la parola lascerà spazio anche all'ascolto delle altrui opinioni. In questo modo si favorirà anche una stato d'animo più omogeneo all'interno del gruppo.

 

Foto Alessandra Lazzarotto