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Lo sportivo che parla di obiettivi spesso ne focalizza solo uno: la vittoria. Vincere è per molti non solo l'unica cosa che conta, ma anche la cartina tornasole di tutto il lavoro che si è svolto. Se si vince, è segno che si è lavorato bene. Se si perde, si deve fare qualcosa di più e meglio.

Mirare solo al risultato può essere però incredibilmente controproducente. Può creare enormi ansie da prestazione, può distogliere dal miglioramento personale, può letteralmente fare a pezzi una squadra o impedire che si sviluppino quelle relazioni capaci di creare una squadra da un semplice gruppo di giocatori.

Che tipo di obiettivi dovremmo dare allora alla nostra squadra per metterla sulla strada giusta e per evitare effetti collaterali?

Per essere motivante, un obiettivo dev'essere sempre ben definito. Se lascia margini di interpretazione, lascia anche margini di frustrazione e incomprensione. Da questo punto di vista, “vincere” non è mai un obiettivo definito: se indica il risultato finale, non indica mai come raggiungerlo né cosa fare se alla fine, invece, arriva una sconfitta.

L'obiettivo dev'essere anche raggiungibile e realistico, nonché definito nel tempo e fin qua non abbiamo detto niente di più di quello che riportano i manuali di project management.

Quello che invece è fondamentale sottolineare è che l'obiettivo definito inizialmente deve mantenere le sue caratteristiche (definito, raggiungibile, realistico, tempificato...) anche durante la prestazione. Un obiettivo che rischia di perdere chiarezza durante una partita non può essere considerato un obiettivo valido. Mi aiuterò con un esempio di grande attualità. Prima del match con l'Inghilterra, molti ragazzi della nostra Nazionale hanno dichiarato: “Il nostro obiettivo è arrivare vicini nel punteggio nella parte finale del match”. Con un obiettivo del genere, che succede se ci troviamo sotto di venti punti a inizio secondo tempo? L'obiettivo iniziale ha ancora un pieno significato? Non c'è il rischio che i giocatori vedano l'obiettivo come lontano, non più raggiungibile, indefinito? C'è il rischio che si perda il punto di riferimento e si ceda al nervosismo, alla smania di recuperare, alla frustrazione?

L'obiettivo che ci diamo deve rimanere sempre raggiungibile e realistico in ogni condizione: quindi l'univo vero obiettivo che possiamo darci è seguire il piano di gioco, accettare le difficoltà che incontriamo e concentrarci sul singolo gesto, quello che dobbiamo compiere qui e ora. Da questo punto di vista mi piace citare Gustave Flaubert, che non conosceva lo sport, ma un giorno scrisse: “Il successo è una conseguenza, non un obiettivo”.

 

Foto Alfio Guarise