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Il mondo dello sport professionistico vive un’autentica ubriacatura da dati statistici. Agenti, allenatori, preparatori atletici, altri addetti ai lavori e giocatori stessi vivono in simbiosi con enormi database in cui sembra rivelarsi magicamente tutta una serie di verità oggettive, incontestabili, sulla quale costruire strategie per il futuro. Gli stessi dati, elaborati con algoritmi misteriosi e quindi dai risultati difficilmente verificabili, disegnano tendenze e prospettive per il futuro capaci di aprire le porte a qualcuno nello stesso momento in cui le chiudono in faccia a qualcun altro.

I dati raccolti sulle prestazioni sportive sono sicuramente uno strumento utile, ma dobbiamo chiederci: raccontano la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?

Partiamo mettendo in chiaro un punto fondamentale: già nel momento in cui vengono raccolti, i dati sono una rappresentazione storica, il quadro di un momento passato che ci mostra solamente quello che abbiamo scelto di tenere sotto controllo (metri percorsi, passaggi, avversari battuti…).

I dati sono un quadro parziale sia perché ci mostrano solo quello che vogliamo vedere, sia perché sono il frutto di situazioni specifiche, non ripetibili. Voglio dire: un rugbista che nei primi anni di carriera ha segnato poche mete lo ha fatto per mancanza di proattività, per un piano di gioco che lo vede più impegnato nel lavoro sporco oppure perché non ha mai lavorato sulla gestione mentale dei momenti topici di un match? I dati non possono dircelo, così come non ci dicono quali possono essere oggi i suoi margini di miglioramento.

Le statistiche che riguardano un atleta sono sempre espressione di alcuni aspetti delle sue attitudini e dei suoi comportamenti, ma l’atleta non è i quei dati. Le caratteristiche personali non sono mai immutabili, a nessuna età, quindi dovremmo chiederci: se la prestazione di questo atleta ha seguito fino ad oggi questo andamento, come potrebbe migliorare se cambiamo la preparazione di quell’atleta, aggiungendo ad esempio competenze diverse dal punto di vista tecnico, tattico o mentale?

Ogni addetto ai lavori vorrebbe trovarsi tra le mani un atleta robot, che appena tolto dalla scatola si mette a fare esattamente quello per cui è stato acquistato. Questa visione meccanomorfica che vede l’essere umano come una semplice macchina è un effetto collaterale della nostra società ipertecnologica: in realtà non siamo robot e… il compito di una organizzazione sportiva non dovrebbe essere quello di far avvicinare gli atleti e la squadra alle loro rispettive potenzialità?

I dati saranno utili per questo compito, ma altrettanto utile sarà riconoscere tutto quello che non dicono e non potranno mai dire.

 

 

 

 

 

 

 

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