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Il match tra Italia e All Blacks è stato anacronistico sia per il risultato sia per le attitudini messe in campo dalle due squadre. I campioni del mondo sono stati lucidi e sempre concentrati, mentre la nostra Nazionale, con il crescere dell'intensità del match, è semplicemente sparita dal campo.

Guardando le facce dei giocatori durante gli inni nazionali si poteva già intuire una profonda diversità nelle attitudini dei giocatori e nel modo in cui avrebbero affrontato il match. Il linguaggio del corpo è infatti un indicatore assoluto di quello stato emozionale che è parte fondamentale della prestazione sportiva. Prima del match lo stesso Capitano azzurro Leonardo Ghiraldini dichiarava: “Abbiamo lavorato con Wayne Smith (l’ex assistente alla difesa degli All Blacks) e parlandoci ti accorgi che la grande differenza scatta a livello mentale”, rimarcando che nell'alto livello non sono solo le skills individuali a fare la differenza.

Riguardiamo allora con attenzione le riprese dei giocatori durante gli inni nazionali per vedere come le espressioni e le microespressioni delle loro facce potevano essere in qualche modo predittive dell'andamento del match.

Con buona pace di chi sostiene che una grande prestazione di ottenga solo con “grinta e determinazione”, le facce dei tuttineri mostrano una quasi totale assenza di rabbia. La maggior parte dei giocatori offre anzi alle telecamere una quasi assenza di emozioni evidenti. Anche giocatori nuovi, come Tu’inukuafe, che fino a un anno fa lavorava come buttafuori e a tutto pensava tranne che di poter giocare con gli All Blacks, sono serene. Non si tratta di freddezza: si tratta di capacità di gestire le proprie emozioni, la stessa che le grandi squadre riescono a mettere a frutto anche durante il gioco. In mezzo a queste facce da poker spiccano due eccezioni: il sorriso accennato da Bauden Barrett, che mi è subito apparso come una dichiarazione di guerra, e il piccolo gesto di nervosismo di Kieran Read, che era pur sempre il capitano di una squadra reduce da una freschissima sconfitta.

Che possiamo dire invece riguardo alle espressioni dei nostri ragazzi? Prima entrare nel vivo, una premessa importante. Mostrare le emozioni non è sbagliato, mai, anzi. Mostrarle dovrebbe essere utile però a riconoscerle e a sfruttarle a nostro favore, un'attitudine che la nostra Nazionale non è ancora riuscita a sviluppare.

Le riprese televisive si aprono con Luca Sperandio che inghiotte e prende aria. Le emozioni di Traorè trasformano la sua faccia in una maschera che ha tutti i segni della tristezza, gli occhi sbarrati di Luca Morisi ci parlano di rabbia e paura. Nella maggior parte delle facce degli altri ragazzi si legge però una forte rabbia, che può anche essere un modo semplice o più furbo per mascherare altre emozioni meno socialmente accettabili, come la paura: anche se la paura, come ho scritto spesso in questa rubrica, è un forte stimolo a ben performare se la accettiamo e riusciamo a canalizzarla.

Ci sono anche facce più serene e anche felici: quella di Campagnaro o di Hayward, ad esempio.

In generale i giocatori della nostra squadra mostrano una varietà di emozioni molto più ampia di quella degli avversari. Questo mi fa riflettere sulla capacità di gestirle bene, ma mi fa soprattutto pensare: questa non è ancora una squadra. Non ha ancora un'identità unica, un'identità vera e propria, anche perché  non c'è un allineamento emozionale tra i suoi membri. Nonostante O'Shea abbia ormai scelto da un anno a questa parte titolari e panchinari, non è ancora riuscito a creare quei meccanismi di comunicazione e fiducia che trasformano un gruppo di giocatori in un'entità diversa, a se stante.

C'è ancora molto da lavorare, è vero, ma dovremmo essere sicuri di farlo nella direzione giusta, per non ripetere i tanti errori del passato.

 

Il momento degli inni di Italia - Nuova Zelanda:

 

 

Foto Alfio Guarise

 

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