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Quanto è importante lo sport per la crescita fisica, mentale e relazionale dei nostri figli? La risposta è talmente banale che non sarebbe nemmeno il caso di approfondire l'argomento: lo sport è una fondamentale palestra di vita per bambini e ragazzi.

Nonostante il concetto sia ormai assodato, assistiamo a comportamenti schizofrenici che rischiano ogni giorno di allontanare i ragazzi dallo sport. A scuola, ad esempio, di sport se ne fa poco, a volte solo una/due ore a settimana. I genitori lo vivono a volte con spirito troppo agonistico. Le società sportive, poi, faticano a capire come far avvicinare i ragazzi e, soprattutto, come evitare che abbandonino una volta che hanno iniziato.

L'abbandono dello sport è uno dei fenomeni più evidenti e meno affrontati. Partiamo da qui: perché questo fenomeno esiste e come può essere frenato?

Jeff Crane e Viviene Temple dell'Università canadese di Victoria hanno raccolto 557 studi scientifici elaborati in tutto il mondo negli ultimi decenni su questo tema, ne hanno selezionati 43 per la qualità del loro metodo e hanno tratto alcune conclusioni racchiuse in una pubblicazione del 2015.

Nel modello che ci propongono, le difficoltà che portano un ragazzo a lasciare lo sport sono  classificate in tre categorie: difficoltà personali (hanno a che fare con il rapporto tra la persona e lo sport in sé), difficoltà interpersonali (rapporto tra la persona e gli altri) o difficoltà strutturali (esterne o non controllabili, come gli infortuni).

Quali di questi fattori sono più rilevanti?

Le decine di migliaia di evidenze raccolte hanno un risultato estremamente chiaro: sono le difficoltà personali a pesare di più, con due elementi sopra tutti: la mancanza di divertimento (“non mi diverto”) e la percezione di una bassa competenza tecnica e/o fisica (“non mi sento abbastanza bravo, forte, veloce per questo sport”).

La responsabilità di società sportive e istruttori è evidente su entrambi i fattori menzionati. Lo sport come la scuola non può essere un'attività forzata, ma deve stimolare bambini e ragazzi a migliorare attraverso il gioco condiviso. Il regime “militare” di certi allenatori non solo è probabilmente inutile dal punto di vista dell'apprendimento, ma opera una selezione innaturale dei ragazzi ed è contrario a ogni principio pedagogico dello sport. E' demotivante e avvicina solo quegli atleti che caratterialmente sono attratti da autorità e disciplina assolute. Bambini e ragazzi devono essere  stimolati partendo dai loro punti di forza, non da quelli deboli (“non sono abbastanza bravo”), perché la motivazione nasce solo dall'accettazione del livello di partenza e dalla guida al raggiungimento di un livello superiore, individuale e di squadra, un passo alla volta.

Nella scala dei fattori principali che portano all'abbandono dello sport ne seguono anche altri due, stavolta di natura relazionale, interpersonale: uno è la troppa pressione ricevuta da allenatori, genitori o altri soggetti. L'altro è la concorrenza di altre priorità sociali (incontrare amici, studiare duro, fare altri tipi di esperienze).

Anche qui, la responsabilità di società e istruttori è chiara: eccedere con la pressione senza preparare gli atleti a gestirla è controproducente, sia per i risultati sia per la loro motivazione. Sotto un'eccessiva pressione il divertimento non può esistere e anche la prestazione può crollare. Del resto, saper raccontare l'importanza dello sport lo rende anche più competitivo verso altre attività sociali, che siano educative, neutrali o autolesionistiche.

Ho riportato come sempre evidenze scientifiche, ma molti allenatori e dirigenti dopo averle lette andranno per la loro strada e continueranno a proporre il solito “loro metodo”: vinceranno forse qualche partita in più, ma non conosceranno mai il vero potenziale dei ragazzi che hanno davanti, né di quelli che rimangono, né di quelli che prendono altre strade.