Vittorio Munari su Sei Nazioni e il rugby che è e che sarà
Vittorio Munari, Napoleone per tutti. L’uomo che ha portato in Italia David Campese, vinto “qualcosa” con il Petrarca anni’80 e molto anche con la Benetton. Dilettandosi di telecronache in coppia con Antonio Raimondi e prima con Fabrizio Gaetaniello (“sempre meglio che lavorare” si è lasciato scappare nel corso di una conferenza tenuta qualche tempo fa sotto le volte dell’austera aula magna del padovano collegio Giambattista Morgagni, su invito della Scuola Galileiana di studi superiori), ha coniato alcuni neologismi ormai di uso comune. “Grillotalpa” il più noto, e tenuto lezioni via etere sulle grandi battaglie campali della storia. Di ritorno da Edimburgo, nella pausa di un pranzo di lavoro con ospiti di un certo riguardo, accetta di rispondere alle domande di Rugbymeet. Più che un’intervista: una chiacchierata. Tema: il Sei Nazioni e il rugby che è e che sarà. “Tu parla, io scrivo. Poi, casomai, aggiungo le domande”.
ï Che rugby hai visto?
- Un rugby intimamente e dichiaratamente gladiatorio. Ormai, di fatto: un gioco per pochi eletti. Per gente in grado di sopportarne gli impatti sempre più devastanti e di metabolizzare carichi di lavoro e usura fisica assolutamente fuori dalla portata di soggetti “normali”.
ï Un rugby non per tutti, quindi…
- Per pochi. Un rugby che si allontana sempre più dalle possibilità di molti di coloro che vi si accostano senza un adeguato corredo di possanza fisica e di resistenza ai traumi.
ï Un gioco solo per l’emisfero sud?
- Con la Nuova Zelanda molto avanti a tutti per konw-how tecnico, gestionale e organizzativo. E tutti gli altri a inseguire. Qualcuno da lontano, altri da lontanissimo.
ï Un gioco che non è più… un gioco?
- Oggi per fare rugby ad alto livello bisogna porsi la domanda: perché lo faccio? E trovare una risposta che giustifichi una discesa in campo governata da regole ormai ferree e non contrattabili. Molti campioni del pugilato sono saliti sul ring per fame… Basta saperlo, non aver paura delle parole e riconoscere che di ludico e di valoriale, nel rugby professionistico di oggi non c’è rimasto più niente.
ï Quale fra le europee potrebbe competere, sulla base di quanto si è visto nel corso di quest’ultimo Torneo?
- Competere è una parola grossa. Diciamo che c’è chi può pensare di mantenersi a distanza non proprio abissale dai maestri e ambire a non scomparire al loro confronto.
ï Nello specifico?
- Francia e Inghilterra. Ma solo perché sono espressioni di movimenti numericamente forti. Diciamo che dispongono di carri bestiame più grandi e capaci degli altri. E' a quantità che cerca, e in parte riesce, a colmare il gap di competenze e conoscenze attualmente in essere
* Carri bestiame…nel senso di carne da macello?
- No?
ï E gli altri?
- Irlanda, Scozia e Galles non hanno i numeri degli inglesi e dei francesi. Per loro l’idea di competere con l’altro emisfero è semplicemente improponibile.
ï E l’Italia?
- Scusa, mi chiamano, devo rientrare. Sono atteso.