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Nel gennaio 2014 il giornalista sportivo francese Nicolas Geay, della redazione di “France 2”, realizzò un reportage sul caso dei giocatori sudafricani del Mondiale 1995 colpiti da SLA. Incontrò fra gli altri Joost van der Westhuizen, all’epoca quasi impossibilitato a parlare, bloccato dietro farfugli con cui la stella degli Springboks tentava di comunicare. All’epoca Joost sosteneva di non conoscere la causa della malattia; mentre Tinus Linee, altra stella del Sudafrica (non giocò il mondiale del ’95), rimasto muto a causa della malattia, con la moglie a fargli da interprete, diceva che non si era mai dopato in vita sua. Sarebbe morto nove mesi dopo l’intervista a France 2.

L’ipotesi del doping dietro la tragica fine di questi giocatori continua ad essere viva. Geay sosteneva che: “la maggior parte di coloro che ho intervistato sostengono che in Sud Africa non c’è la cultura del doping, eppure una volta accese le telecamere le lingue si scioglievano e venivano fuori tanti fatti…

Kobus Wiese, seconda linea del Sud Africa nel 1995, sosteneva che la sua squadra prendeva solo vitamina B12. A distanza di vent’anni c’è chi dice che la B12 ampliava l’effetto dell’Eritropoietina (EPO), che per altro non veniva rivelata durante i test-antidoping. 

Prima ancora di Van der Westhuizen e Tinus Linee un altro campione del rugby sudafricano ci lascia. Il 27 gennaio 2010 passa la palla Ruben Kruger, terza linea di Sud Africa 95. Nel 2000 gli viene diagnosticato un tumore al cervello. Muore a soli 40 anni. 

E adesso a combattere è Andrè Venter, malato di mielite trasversa (MT), malattia neurodegenerativa simile alla SLA… ma meno grave.

Ma giustamente c’è chi li considera casi isolati. Difficile far risalire un tumore o le malattie neurodegenerative all’abuso di doping. Perché all’epoca dei fatti chi vuoi che facesse controlli assidui. Il rugby era entrato da poco nel professionismo, non era uno sport olimpico… non c’era ragione di essere così severi. La palla ovale era roba degli anglosassoni, a capirlo erano in pochi e a giocarlo… non ne parliamo.

Però qualche piccola verità fuori è giunta. E per quanto il vaso di Pandora faccia fatica ad aprirsi, di fronte ad una stampa sportiva poco interessata ai dettagli della palla ovale, qualcuno ha detto la sua.

“Si, mi sono dopato!” La conferma di Jean-Pierre Elissalde, mediano di mischia di La Rochelle e Bayonne negli anni ’70 e ’80. Padre di Jean-Baptiste, internazionale francese ai Mondiali 2007. Anni ’70 e ‘80! Quando il rugby era ancora in fasce.

“Ai miei tempi si facevano di anfetamine. Le usavano ciclisti, calciatori e rugbysti. Io le ho assunte due volte. Vedevi giocatori molto eccitati a causa della droga. Un po’ come vedere oggi i giocatori sudafricani, inglesi e gallesi che sembrano dei bodybuilder!”

Insomma il dubbio continua ad esserci. Il decesso di Joost van der Westhuizen è probabilmente quello di maggiore spicco, un motivo per realizzarne un servizio in prima pagina su La7 Cronaca, dove si vede il ben noto filmato del Campione del Mondo che incontra un attempato Jonah Lomu consumato dalla nefrite. Ma passato quel servizio il rugby, con i suoi lati oscuri, torna nel dimenticatoio.

Eppure negli anni ’90 nessuno si chiese come fosse possibile che una nazionale come il Sud Africa, tecnicamente inferiore a Inghilterra, All Blacks e Australia, fosse riuscita a vincere un evento come la Coppa del Mondo, che all’epoca dei fatti aveva un’enorme rilevanza politica.