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L’editore Michele Dalai, mesi fa, aveva organizzato una cordata di appassionati per acquistare una parte sostanziale delle quote delle Zebre Rugby, tentativo non andato a buon fine. Oggi, dopo le dichiarazioni del presidente FIR Alfredo Gavazzi, Michele Dalai si sfoga su Facebook con un commento chiaro sul suo punto di vista riguardo alle vicende FIR e Zebre Rugby. Tra le sue parole anche l’apprezzamento verso i dimissionari Romanini e Amoretti. Riportiamo integralmente il suo messaggio:

“Ho assistito da vicino alla vicenda delle Zebre ed è stato molto istruttivo. Ho cercato di dare una mano, di portare energie nuove a una squadra nata vecchia e senza fiato, nata per mascherare le falle di una Federazione gestita in modo poco trasparente, nata con il fine ultimo di creare e gestire consenso in vista delle prossime elezioni federali.

Il rugby di cui amiamo e ostentiamo l'etica sul campo da gioco e la qualità dei comportamenti di atleti e tifosi, a livello dirigenziale e di struttura è uno sport molto uguale agli altri, forse peggiore (sempre che sia possibile).
Uno sport ricco che in Italia sembra completamente avvitato su se stesso, denaro sprecato o generosamente offerto agli amici di sempre, un'incapacità cronica di individuare i problemi e correggerli, la totale chiusura a chi viene da fuori e non ha giocato ai massimi livelli, come se esistessero delle credenziali di accesso che però non includono la capacità di gestione del denaro pubblico e la decenza dei comportamenti.
Ho assistito da vicino alla vicenda delle Zebre e la ritengo perfettamente esemplificativa della situazione drammatica del rugby italiano, soffocato dalle smanie di protagonismo di un Presidente che tratta il denaro della FIR come fosse cosa propria, che ignora le più elementari regole di gestione di un flusso di denaro che piove su una squadra ancora gestita dalla Federazione stessa nonostante la facciata goffa di un azionariato più polverizzato che non diffuso, utile alla causa del Presidente e drammaticamente inutile per il futuro Zebre.
Ho assistito da vicino al tentativo di due persone perbene (Romanini e Amoretti), di trasformare il caos in qualcosa di meglio, di dare alla società delle regole, di renderla se non proprio redditiva almeno sostenibile, di pensarla come un'azienda dello sport e non un pozzo nero di denaro pubblico, ma il tentativo è miseramente fallito, nonostante ci fossimo impegnati tutti per sostenere il loro sforzo, nonostante loro stessi abbiano dato ben oltre quanto fosse ragionevole sperare che dessero, a livello emotivo e professionale.
Ho evitato di parlarne pubblicamente perché ritenevo la vicenda triste e soprattutto perché ero in attesa di una svolta, una qualunque, purché contenesse gli elementi di discontinuità che sono necessari per salvare le Zebre e non far perdere la faccia una volta ancora al rugby italiano.
Due giorni dopo la disfatta di Dublino però, di fronte a un Presidente federale che la rivendica come un risultato notevole, non riesco a contenere il fastidio e non riesco a non considerare la vicenda delle Zebre e il suo probabilissimo triste epilogo (come se Crociati e Aironi non fossero stati sufficienti), l'emblema di uno sport, di un movimento (come piace dire a tutti, ormai ironicamente), che non può e non deve essere gestito così.
Perché così si va verso l'estinzione, lentamente, inesorabilmente, goffamente”