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Con il 6 Nazioni in Tv diventa facile dimenticare per un po' tutta la fatica che si fa nel nostro paese per far crescere il movimento rugbistico. Ecco allora che diventa importante raccontare le storie di quei ragazzi che tengono vivo il sogno di far diventare anche l'Italia una nazione rugbistica a pieno titolo.

E’ una serata fredda e piovosa. Il vento spazza senza pietà il campo sintetico del CUS Pisa Rugby. In campo ci sono già gli Under 14 e tra di loro, unica ragazza, c’è anche Sara Mannini. Si riconosce subito per l'entusiasmo, la dedizione e per quella grazia naturale che inevitabilmente manca a noi maschietti a quell’età. Peccato che, nell’Italia che è piazzata a un buon nono posto nel ranking internazionale del rugby femminile, Sara non riesca a giocare quanto vorrebbe. Si allena con i maschi, ma da quando ha superato la soglia dei dodici anni non è previsto che possa giocare partite insieme ai maschi. A livello femminile, invece, le occasioni per confrontarsi con altre coetanee capitano grazie all’impegno del comitato regionale toscano, che organizza un paio di allenamenti al mese e concentramenti regionali e interregionali più dilatati nel tempo.

Ho incontrato Sara insieme al babbo Alberto.

 

Ciao Sara, come hai scoperto il rugby e come hai iniziato a giocare?

Ho scoperto il rugby grazie a babbo che guardava le partite in tv, poi tre anni fa sono venuta qui al CUS per un campo solare durante l’estate. Tra i vari sport l’istruttore ci ha presentato anche il rugby e ho cercato di capire meglio cos’era. Mi è piaciuto l’ambiente, diverso da tutti gli altri sport per il tipo di impegno e per il rispetto verso gli altri. Avevo giocato a basket e a pallavolo, ma il rugby mi ha colpito molto di più.

 

Le tue amiche di scuola cosa dicono di questa tua passione, visto che al momento sei l’unica pisana della tua età che gioca a rugby?

Mi guardano un po’ come un maschiaccio, però ci sono anche delle compagne di classe che mi supportano e mi stanno vicino. Due compagni di classe maschi si sono incuriositi e mi hanno chiesto come funziona, mi ha fatto piacere che si interessassero.

 

Un paio di settimane fa sei stata convocata come capitano della selezione toscana dell’under 14 femminile per un torneo interregionale. Che esperienza è stata?

Ero contenta di essere capitano e mi è piaciuto perché è queste convocazioni sono l’inizio di un percorso. Penso di aver dimostrato che le cose posso farle bene e che posso aiutare le mie compagne. Il capitano in realtà non deve dire cosa fare, ma ti deve dire “secondo me dovremmo migliorare su questo aspetto o su quest’altro”.

 

Cosa bisognerebbe fare per invogliare più ragazze come te a giocare a rugby?

Stiamo già facendo buoni passi perché il CUS ha iniziato a portare il rugby nelle scuole, è un inizio, ma per far sì che le ragazze vengano a giocare ci vuole tempo, è difficile farlo solo con un’intervista.

 

Per seguire Sara, suo babbo Alberto è passato dal divano al campo e oggi gioca a touch rugby.

Alberto, vorresti aggiungere qualcosa?

Mi sono avvicinato al rugby grazie a Sara, mi piaceva seguirlo in televisione, ma finché lo segui indirettamente non riesci a capire bene la positività di questo sport, positività che oggi ad esempio le insegnanti di scuola di Sara le riconoscono. Devo essere sincero, sia io che la mamma di Sara non eravamo troppo convinti della scelta di Sara di avvicinarsi a uno sport che apparentemente è duro. Ha voluto provare e ha trovato un ambiente dove non c'è l'accesa competizione tra compagni di squadra che c'è in altri sport, anzi, chi è un po' indietro viene sempre sostenuto a fare sempre meglio. Da lì mi sono appassionato sempre di più anch'io. Stare dietro a Sara è diventato impegnativo, lo sport richiede sacrificio e fatica, ma in questo è un paradigma della vita: chi da il giusto impegno in qualche modo viene sempre ripagato… ci sono le delusioni, ma ci sono anche sostegno, solidarietà e soddisfazioni.