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Incontro Nicola Bezzati, allenatore del Valsugana Femminile campione d’Italia, al parcheggio taxi davanti alla stazione centrale. Il suo Roma 10, un vero must per i tifosi giallorossi in visita alla città del Santo, è fermo all’ombra delle pensiline. Manca qualche ora a fine turno.

  • Contento del secondo scudetto?
    Dello scudetto e del modo in cui le ragazze hanno giocato la finale.
  • Che è parsa la meno difficile degli ultimi anni…
    32-0 è un punteggio finale che dice di un’oggettiva disparità delle forze in campo, è vero. Ma sbaglierebbe chi la considerasse una vittoria annunciata o scontata. Colorno è un’ottima squadra, lo ha confermato nell’arco dell’intera stagione, se nella partita decisiva non è riuscito a fare bene le cose che di norma esegue al meglio, una parte di merito voglio pensare sia stata anche nostra.
  • Una grande prestazione nella partita più importante dell’anno?
    Una grande partita. Di quelle in cui funziona, e bene, praticamente tutto. Piano di gioco rispettato, meccanismi organizzativi puntuali, esecuzioni pulite, scelte efficaci e variazioni azzeccate. Aggiungiamoci un numero bassissimo di errori, la disciplina, l’intensità e fasi statiche dominanti, il risultato è la partita perfetta. Quella che ogni allenatore immagina e sogna, una di quelle che però sono in pochi a vedere realizzata sul campo. Che dire: a volte succede! A noi è accaduto a Calvisano. Abbiamo di che festeggiare!
  • Tre scudetti di fila non è roba da tutti i giorni. Bezzati è forse l’unico allenatore del femminile di vertice ad aver cominciato… dalle donne. Scelta voluta?
    Casuale. Nel senso che, a volte, il destino fa strani giri… Tutto cominciò nell’anno dell’ultimo scudetto del Petrarca. Allenava Pasquale Presutti, era il 2011, io ero capitano. Non giocai la finale al Battaglini per problemi a un ginocchio. Fu un’annata fantastica sotto molti punti di vista, anche se…
  • Anche se?
    A distanza di anni posso dire che, di fatto, avevo perso entusiasmo. Non proprio la voglia di giocare ma quasi. Avevo bisogno di fermarmi, di pensare ad altro. Avevo una laurea (Scienze motorie, ndr) e la possibilità di andare a fare il taxista, il mestiere di mio padre. Al rugby avevo deciso di non pensare più. Poi mi arrivò una telefonata, dal Valsugana, il club dove avevo cominciato a giocare, il club del quartiere di Padova dove sono nato e dove ancora abito. Hai voglia di dare una mano? Mi chiese il presidente. Ci sarebbero le ragazze… Nessuna pressione, nessun risultato atteso, niente che non sia: prova e vedi se ti piace. Accettati.
  • Con quale stato d’animo?
    Con quello tipico di chi si avvicina ed entra in un ambiente che non conosce. Diffidente no. Scettico. Ma fu uno scetticismo che durò pochi mesi, i primi. E che poi sostituii con un entusiasmo ritrovato e riscoperto. Il rugby femminile era una cosa seria, vera, piena di qualità e con tanta voglia di migliorare. Sorprendente. L’ambiente ideale per provare a fare cose importanti.
  • Tre scudetti in tre anni…
    I titoli sono solo una parte del lavoro svolto e dei tra guardi tagliati. Io sono orgoglioso del livello tecnico delle prestazione che le ragazze riescono a esprimere sul campo e vado fiero del fatto che, io con loro, siamo parte di un movimento nazionale in continua e costante crescita. E non solo numerica. Il rugby femminile oggi, in Italia e nel mondo, è una realtà di grande spessore. E non solo sul piano umano o dell’aggregazione.
  • E la Nazionale ne è la logica conseguenza?
    Come è giusto naturale che sia. L’Italia che fra poco disputerà il Mondiale viene da un Sei Nazioni avaro di soddisfazioni. Cinque sconfitte che hanno fatto notizia e che rappresentano un’eccezione nel cammino delle Azzurre al Torneo. In Nazionale giocano ragazze che disputano il campionato inglese e quello francese. Se affronteranno la competizione iridata con la giusta carica di positività, di energia e di fiducia nei propri mezzi…
  • Dove potrebbero arrivare?
    Secondo me: in alto. Là dove i colleghi maschi non sono mai arrivati. L’Italia è in girone con Inghilterra, Usa e Spagna. Inglesi fuori concorso, ma americane e spagnole, se le fasi di conquista funzionano,  siamo in condizioni di batterle. Io ci credo.
  • Il futuro del rugby femminile in Italia è…?
    Una somma di: incrementi delle competenze fisico-atletiche, dell’intensità generale di innalzamento del livello qualitativo della fase esecutiva. Oltre che di numero delle praticanti.
  • È un po’ il percorso he stanno compiendo i maschi…
    C’è poco da inventare. Se non sei competitivo fisicamente, se non reggi gli impatti, se non provi ad importi nella zona di collisione e di conquista, di skills molto accurate te ne fai davvero poco. Quasi niente. 
  • E il futuro del Valsugana tricolore?
    La squadra ha un’età media di 22 anni, l’anno prossimo non ci sarà Paola Zangirolami, che ha annunciato il ritiro a fine World Cup. Inseriremo stabilmente in prima squadra due under 16, e altre ce ne sono che potranno farlo in corso di stagione.
  • Sarà un Valsugana nel segno…?
    Della continuità. Vincente, mi auguro.

 

Foto Elena Barbini