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Erika Morri, membro del board della Federazione Italiana Rugby dal 2016 fino a Marzo, è stata intervistata dalla U.S. Women’s Rugby Foundation (associazione americana tra le più importanti a livello internazionale) per parlare del movimento femminile rugbistico in generale. 

La bolognese è una delle pioniere del rugby femminile italiano, ed ha contribuito come Consigliera Federale FIR a confronti internazionali di settore ed è anche stata invitata a partecipare al comitato per lo sviluppo del femminile per Rugby Europe.

Il rugby italiano al femminile è un movimento è senz’altro in crescita, ma solamente il 20% dei club italiani posseggono almeno una squadra femminile. 

L’intervista all’ex rugbista emiliana:

1. Come può l'Italia sviluppare ulteriormente il rugby femminile?

“L'Italia ha bisogno di dedicare più attenzione al rugby femminile, in particolare in termini di marketing e comunicazione. I club debbono comprendere l’importanza e valenza sia a livello educativo che sportivo ed affinché ciò accada, la federazione dovrebbe supportare ulteriormente i club in questo passaggio, condividendo i risultati migliorativi riscontrati nelle società che hanno già al loro interno questa questa sezione in società.

Ma ci dovrebbero essere forze dedicate alla promozione del femminile anche dirette alle aziende: la Nazionale femminile potrebbe essere la punta dell’iceberg di un movimento, che in un momento come quello odierno può connotare le imprese che fanno della responsabilità sociale un vessillo, in maniera molto positiva.

2. Come possiamo reclutare più ragazze e donne nel rugby?

“A questo riguardo ho diverse idee: gli impianti sportivi sono al primo posto. Un fattore molto importante per coadiuvare questo incremento è un supporto per migliorare le attuali strutture sportive; la motivazione più comune addotta dai club che al momento non hanno una squadra femminile è: Mi dispiace, ma non abbiamo abbastanza spogliatoi". 

"La FIR dovrebbe incoraggiare ed incentivare i club dando a chi ha il femminile nel disegno societario, un coefficiente ulteriore per chi presenta richiesta di supporto economico. Questo serve per variare anche la formula di reclutamento." 

Continua la consigliera FIR: "Dobbiamo anche espandere il nostro pensiero sui modi per incoraggiare le ragazze a giocare. Una idea che ho sempre pensato fosse valida, è quello di “sperimentare” nella fascia del minirugby, un progetto di multisport, nel quale si creino accordi con altri sport per far provare alle ragazze più sport pagando una quota unica, questo ci permetterebbe di avere un afflusso maggiore di ragazze che provano il nostro sport.”

3. Cosa si può fare per migliorare la qualità dei campionati femminili a 15?

Sono convinta che una strada sia incentivare ulteriormente le società che hanno una filiera tutta al femminile (U14, U16, U18, seniores), ma che sia fondamentale far cominciare a giocare prima a 15 le giocatrici che giocano la Coppa Italia. Se si variasse la formula della competizione inserendo come prassi una partita a 15 unendo le giocatrici delle squadre presenti al raduno, sarebbe già un passo in avanti”

4. Come lavoreresti per sviluppare il Seven femminile?

“L’unica esperienza continuativa del 7’s (anche se solo maschile tranne negli ultimi 2 anni) è quella dei CUSI (centri Universitari).

Sono convinta che da questo bacino “poliedrico” potrebbe essere di grande supporto al 7’s in quanto nel mondo sportivo universitario partecipano sportivi di tutte le discipline, che se strutturato non soltanto nel periodo dei campionati universitari, potrebbe creare un’attività parallela durante tutto l’anno.”

5. Secondo te, come si potrebbe sviluppare il settore femminile nella sua globalità (arbitri - allenatori - dirigenza?

Per quel che riguarda il settore tecnico, credo fermamente che allenare le donne sia diverso dall'allenare gli uomini, per questo creerei dei corsi specifici sull'allenamento delle donne. Vorrei sottolineare che non è un progetto per solo donne, ma per chi alleni le donne! Credo che la vostra esperienza come WRCRA (Women’s Rugby Coaches and Referees Association) che si impegna ad aumentare il numero di allenatori donne e che hanno materiali specifici per allenarle, sia un vero esempio.

 Lo stesso dovrebbe vedere il settore arbitrale italiano al femminile, abbiamo ampissimi margini di miglioramento, in Italia su 688 arbitri, solo 54 sono donne. Anche in questo caso sono convinta che la strada sia rafforzare la comunicazione ed il marketing, condividendo con tutto il movimento le esperienze delle nostre arbitre internazionali Clara Munarini e Beatrice Benvenuti. Le sensazioni ed emozioni di chi gioca il ruolo della “31esima giocatrice in campo” dovrebbero essere più diffuse per far comprendere quanto anche questa strada sia altrettanto divertente e sfidante rispetto a quella da giocatrice. Ultima ma non ultima, la formazione della parte dirigente, importantissima per la crescita dei club. Quante sono le donne che sono di supporto in società e quante fanno i corsi di formazione?

Concludo perché con tutto quel che c’è da fare non basterebbero 10 articoli, ma l’importante è continuare ad avanzare sempre, come si dice nel rugby, piccoli passi… ma solidi. Auguro un buon lavoro a ciascuno di NOI, perché il criticare ed il commentare sono energia sprecata, l’AGIRE ED IL COSTRUIRE INSIEME è l’unica via per crescere.

Cito uno degli aforismi a me più cari, è di Andrea De Rossi: “Nel rugby la fortuna non conta. Contano il fisico, il cuore, l’intelligenza e la voglia di lottare.”

 

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