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Nicola Belardo, 26 anni, 3 volte campione d’Italia e una passione per il mare mai dimenticata

“Il rugby? Mi ha dato tanto, ha segnato la mia vita, mi ha regalato legami forti, amicizie sincere e profonde. Non solo ricordi bellissimi”. Parola di Nicola Belardo, napoletano di Posillipo, una vita ovale cominciata con la maglia delle giovanili della Partenope e allenamenti alle 10 della sera, proseguita in Accademia a Tirrenia “dove ho trascorso tre anni fondamentali per la mia formazione umana oltre che sportiva. Andare via di casa a 17 anni aiuta a crescere. Lo dico a tutti i giovani che incontro, ne sono convinto”. Terminato il triennio azzurro fu subito Cavalieri Prato, dove rimase per due campionati, prima di approdare alle Zebre.

* La tua grande occasione?

- Fu ciò che pensai quando mi fu proposto un contratto di due anni. Ma al termine della prima stagione decisi di non prolungare la mia permanenza a Parma.

* Motivo?

- Preferisco non scendere in inutili particolari. Il rapporto con l’ambiente non era come me l’ero immaginato e continuare a giocare in un posto dove non si sta bene…

* Via da Parma con destinazione Calvisano…

- Dove ho trascorso quattro anni davvero esaltanti. Da ogni punto di vista, compreso quello umano. Senza dimenticare che in quelle quattro stagioni portammo a casa tre titoli italiani e una Coppa Italia. Non male davvero!

* L’ultimo scudetto di Calvisano ha segnato il tuo addio al rugby giocato. Com’è successo?

- La decisione di cambiare vita l’avevo già presa da almeno un paio d’anni. Diciamo che ci ho lavorato un po’ su, ho atteso che alcune circostanze maturassero e che i tempi fossero quelli adatti. Non volevo un addio traumatico nè spettacolare. Avevo preso un impegno con il club e l’ho rispettato fino in fondo. Vinto lo scudetto, festeggiata la vittoria nella finale di Calvisano…

* Hai mollato gli ormeggi!

- Esattamente così. Sono tornato al mare, che è dove sono nato e dove ha sempre abitato la mia più intima passione. Tutti, in famiglia, viviamo di mare e con il mare, anche se nessuno di noi lo aveva mai fatto in maniera professionale. Sono stato io il primo.

* Dalle foto che pubblichi sul tuo profilo FB si direbbe che un pochino anche ti diverti. O no?

- Lo so che potrà suonare strano, ma vorrei che fosse chiaro per tutti: I panorami sono da urlo, è vero. Ma io in quei posti ci lavoro!

* Facciamo che ti crediamo sulla fiducia. Di che lavoro si tratta?

- In questa mia prima stagione sono stato al seguito di un comandante molto esperto e con lui abbiamo gestito una barca a motore di 25 metri con la formula del charter. Una forma di affitto del natante che prevede la fornitura anche dell’equipaggio. Per me è stato un periodo molto proficuo di formazione.

* Una specie di scuola guida?

- Qualcosa di molto simile a un corso di formazione full immersion. La barca era ormeggiata al porto di Fiumicino, abbiamo fatto crociere soprattutto in Corsica, con alcune interessanti deviazioni in Sardegna e a Capri.

* E in futuro?

- Si continua a studiare! E a imparare il mestiere. A fine mese parto, starò in Inghilterra 4 mesi per ottenere le certificazioni necessarie all’abilitazione. Punto a diventare skipper professionista, a essere a capo di un equipaggio. E magari passare da barche di 25 metri a qualcosa di più grande…

* Amicizie e ricordi a parte, c’è ancora uno spazio ovale nella tua esistenza di tutti i giorni?

- Quello che questo sport mi ha dato me lo porto dentro. Sono come sono perché sono stato un uomo di rugby, perché ho vissuto certe esperienze, accettato certe sfide e condiviso gioie e momenti no al fianco di amici veri e di uomini leali. Di partite non riesco a vederne troppe, lo ammetto, almeno dal vivo. Sono stato a Firenze per Medicei – Calvisano la prima giornata di campionato. A Firenze gioca a pallavolo Sara, la mia ragazza, ero andato a trovarla. E già che c’ero…

* Smettere a 26 anni, converrai che tanto normale non è...

- Poco usuale forse sì. Quanto al concetto di normalità, avrei qualcosa da dire. La mia stessa scelta l’ha fatta Enrico Targa del Petrarca, uno dei miei amici più cari, uno con il quale ho condiviso tutte e Nazionali giovanili e che sul campo ho molte volte affrontato. Laureato in ingegneria ha salutato tutti e si è dedicato alla sua nuova professione. Bravo! Io ho percorso la stessa strada. La sua lo porterà in qualche ufficio o in qualche cantiere, la mia in mezzo al mare. Ma quanto abbiamo ricevuto dal rugby e dallo sport sarà sempre al nostro fianco. In sostegno.

* Chiudiamo sull’Italia del rugby…

- Auguro a O’Shea e a tutto l’ambiente che quelli che verranno siano gli anni del tanto atteso passo in avanti. Un passo che ci consenta di affrontare ogni situazione con alcune certezze ben radicate nell’anima della squadra. Finora non è accaduto, ci è sempre mancato qualcosa. Un qualcosa che gli altri invece possedevano e hanno usato per batterci. Vedo che Zebre e Benetton hanno preso a vincere. Voglio essere ottimista. Forza ragazzi, è il momento di raccogliere quanto seminato!

 

Foto Elena Barbini