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Incontro Stefan Basson subito dopo la conferenza sullo sport giovanile organizzato da I Medicei prima del match contro Mogliano. Mi aspetto di vederlo ancora menomato dall’infortunio di qualche settimana fa, invece… macché.

“Io ho sempre recuperato molto velocemente. Dicono che ho bisogno di altri venti giorni, ma io sono già a posto!”

Stefan, oggi mi piaceva fare una chiacchierata con te perché stai facendo un passaggio molto delicato…
Molto, molto…

…da giocatore a allenatore.
Non è facile, ho parlato con tanti allenatori in Sudafrica e in Italia e tutti mi hanno detto “occhio, non è facile”. A me piace tanto.

A Rovigo eri già un punto di riferimento in campo.
Sì, mi è sempre piaciuto essere un leader in campo, un esempio per gli altri, non mi è invece mai piaciuto fare il capitano, l’ho fatto una o due volte nel Sudafrica seven poi ho rinunciato.

Come stai affrontando questo passaggio? Avevi un allenatore che ti ha ispirato?
Io ho pensato che forse sarebbe stato il mio ultimo anno di rugby e ho maturato il sogno di diventare un allenatore internazionale. Pasquale (Presutti, ndr) e i Medicei mi hanno dato questa possibilità ed è bellissimo, questo sarà sicuramente il mio futuro. Ho fatto tutti i corsi in Sudafrica, anche per allenatore internazionale di rugby a sette, che mi piace moltissimo.

Che consigli hai chiesto a Pasquale?
Lui è una bravissima persona, ha tanta esperienza, ha disputato cinque finali di cui penso ne abbia vinte quattro, mi ha insegnato a stare tranquillo e soprattutto a lavorare con le persone. Non ho mai conosciuto qualcuno come lui, sempre positivo e comunica tanto.

Nell’esperienza di quest’anno che tipo di difficoltà hai incontrato, soprattutto nella veste di giocatore e allenatore? Voglio dire, tu alleni i tre quarti, ma sei lì in campo con loro…
Questo è il punto! Non è facile perché quando sei solo allenatore loro ascoltano e cercano di mettere in pratica. Quando in campo ci sei anche tu, se tu sbagli… non è facile. Devi cambiare ruolo, nel riscaldamento sei più un allenatore, poi in campo devi anche essere un leader… Nei primi due mesi non ho giocato molto bene, secondo me, anche per questo, poi ho iniziato a sciogliermi.

L’anno prossimo?
Penso di giocare ancora un anno, vediamo, e poi anche l’anno prossimo sarò con Pasquale. Fino ad adesso sono molto contento dell’esperienza, mi manca Rovigo perché dopo dieci anni non è facile lasciare tutto. Quando abbiamo giocato qua con Rovigo è stato un giorno particolare, perché sento di aver dato tanto a Rovigo, ma per il mio futuro sento di aver fatto la scelta giusta.

Come sai io scrivo di mental coaching su Rugbymeet. Che posto ha secondo te l’aspetto mentale nel rugby?
La testa è tutto, ci sono tanti giocatori di talento, ma quando devi scegliere chi prendere in squadra scegli chi ha la testa. Io adesso vedo tanti video, parlo con tanti allenatori perché voglio migliorare e tutti sono d’accordo con questa impostazione.

Sotto questo aspetto secondo te è cambiato qualcosa in Italia negli ultimi dieci anni?
Sì, assolutamente, quando sono arrivato in Italia vedevo i giovani sempre in palestra ad alzare centoventi chili. Negli ultimi anni giocatori e allenatori si sono più concentrati su tutti gli skills necessari.

Hai un bambino di un anno: anche questo aiuta a diventare un buon allenatore? Devi imparare da zero a gestire una persona che deve crescere…
Questa è una grande verità.

Grazie Stefan, vuoi aggiungere qualcosa?
Voglio ringraziare ancora i Medicei e Pasquale per questa grande opportunità. Che io sappia nessuna altra squadra di livello, nemmeno in Sudafrica, ha dato un’opportunità del genere a un giocatore per iniziare ad allenare. Non è facile! Mi piacciono le sfide e lavorare per migliorare ogni giorno, ogni settimana, ogni mese.

 

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Foto Alfio Guarise