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Andrea Cavinato è da poco rientrato dall’annuale soggiorno estivo all’Isola d’Elba. Accetta di parlare (anche) di rugby nel corso di un’intervista decisamente atipica. Nel corso della quale esprimerà valutazioni, ovviamente personali, non cercherà di convincere nessuno (“Scrivilo, che si capisca bene! ha insistito al termine della lunga telefonata), lancerà un paio di proposte e accennerà di sfuggita alla sua esperienza petrarchina. Oltre a rivelare la sua futura e del tutto imprevista attività lavorativa.

  • Cominciamo dal futuro. Andrea Cavinato ha deciso di …
  • Nell'ordine: non scrivere un libro, non rimettersi a fare l’architetto, non passare le giornate ai giardinetti col cane, non cercare di capire come si sia interrotta l’esperienza padovana. Detto questo…
  • Non resta che scoprire cosa farà davvero …
  • Mi dedicherò alla mia seconda passione, quella che per tanti anni ho dovuto trascurare per colpa o per merito della palla ovale. Il giardinaggio. Attualmente aiuto alcuni amici che operano professionalmente nel settore. L’obiettivo è di trasformare la passione in un lavoro. L’ho già fatto con il rugby, spero di riuscirci.
  • Cavinato senza una squadra da allenare? Difficile da credere…
  • Niente che non si possa spiegare con la fredda logica. Ovviamente sono più che disponibile a impegnarmi in un mondo che per tanti anni è stato la mia vita. Solo che, da adesso in poi, ho deciso di essere estremamente selettivo nelle scelte. Potrei tornare a fare rugby sono in presenza di un progetto credibile sostenuto da risorse adeguate. Tutto il resto, e sia detto con tutto il dovuto rispetto, semplicemente non mi interessa.
  • Fra un’aiuola ben disegnata e una difesa adattata da mischia chiusa… davvero vince il verde?
  • Al momento sì. Ciò non significa che non segua e non mi interessi di quanto sta accadendo in giro.
  • Cominciamo con una domanda scontata, quasi dovuta: riforma dei campionati di Eccellenza e di serie A. Secondo Cavinato…
  • … si è trattato di una decisione saggia, potenzialmente utile al bene del movimento e che perciò appoggio in pieno. L’Eccellenza era un campionato in crisi, e solo gli stolti considerano la crisi una disgrazia. La crisi, invece, è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché apre porta ai progressi.
  • Ne era convinto anche Albert Einstein, sbaglio?
  • Quasi novant’anni fa (*), confermo. E oltre a questo diceva anche che quelli che attribuiscono alla crisi i propri fallimenti, violentano il loro stesso talento e danno più importanza ai problemi che alle soluzioni. Perciò confermo: bene l’Eccellenza a 12 e la serie A a 30. Ovviamente con qualche ritocco che, a mio parere, non toglierebbe nulla. Anzi!

(*) da “Il mondo come lo vedo io” Albert Einstein 1931

  • Sentiamo…
  • Io non avrei regalato ai club un anno sabbatico in tema di retrocessione. Le due ultime classificate dell’Eccellenza al termine della stagione regolare le avrei opposte alle due migliori della serie A non promesse. Barrage di andata e ritorno. Che decisa il campo. Secondo me si sarebbe alzato il livello della competizione, anche in serie A, che avrebbe avuto a disposizione 4 posti virtuali per la salita di categoria. Da 1 su 24 come accadeva prima, a 4 potenziali su 30 la differenza è sostanziale. Temo invece un campionato al ribasso, oltre che votato al risparmio inteso come taglio dei costi. Mentre resta positiva…
  • Cosa?
  • La prospettiva di minutaggi importanti concessi a giovani che finalmente avranno la possibilità di tesare il proprio valore su palcoscenici credibili, contro avversari in grado di misurare correttamente il loro valore.
  • Serie A a 30 squadre, sono tante, ne converrà…
  • Sì, però non ritengo sia il numero il problema più evidente. A mio giudizio molto dipenderà dai criteri con cui verranno formati i gironi.
  • In che senso?
  • Semplice: se il criterio sarà geografico e l’obiettivo quello di risparmiare sugli spostamenti, ritengo che venga meno il principio stesso di competizione leale. Non può accadere che il primo classificato di un girone acceda alla fase successiva mentre altri ne restino esclusi non in quanto meno performanti, ma solo perché inseriti in altri raggruppamenti.
  • È una vecchia questione…
  • Mai completamente risolta, purtroppo. Cito il caso del Villorba in serie B, che ha chiuso la stagione al terzo posto in un girone in cui le prime tre hanno superato quota 80 punti in classifica. Ma la salita in serie A se l’è giocata Bologna, che nelle due partite di barrage finale ha subito dal Petrarca 80 punti, mentre Villorba, con il Petrarca, ha perso di 3 al ritorno e all’andata ha pareggiato. Quindi: sì alla meritocrazia, no ai diritti territoriali.
  • Ma in questo caso la meritocrazia avrebbe costi anche non banali, l’Italia è lunga…
  • Sarebbero i soldi meglio spesi! D’altra parte, le esperienze del recente passato insegnano che restringere i confini dell’alto livello non paga. Il Pro 12 è stata una scelta buona in assoluto, ma se deve servire a drenare risorse ai campionati domestici, è un bene che vira verso il male. Ma non vorrei che si pensasse che ritengo l’attuale momento di difficoltà frutto di scelte politiche inadeguate. C’è dell’altro…
  • Cioè?
  • Una certa indolenza, per usare un eufemismo, da parte dei club. Almeno di alcuni. Il mio Petrarca, tanto per intenderci, ha disputato la Continental cup con il massimo dell’impegno, schierando sempre la miglior formazione possibile. Altri, e non mi si chiedano i nomi, non intendo personalizzare la cosa né lanciare accuse, hanno agito diversamente.
  • Converrà che una Coppa con quella formula e con quella visibilità, invitava a una partecipazione…
  • … finalizzata al solo contributo in danaro che generava. Vero. E non mi scandalizzo. Ma dico: cambiamo lo scenario, se non proprio le carte in tavola. Rendiamola appagante e di interesse. In una parola: utile a tutti. Nazionale compresa.
  • Come?
  • Come ha dichiarato la FIR, invece di mandarci i club, andiamoci con alcune selezioni. Azzardo, una del Nord, una del Centro-Nord e una del Centro-Sud. Formate dai migliori giocatori delle squadre che disputano l’Eccellenza. Per ogni giocatore impiegato riconosciamo al club di appartenenza un gettone. Tre squadre da 28 giocatori fanno in totale 84. Diecimila euro a giocatore significa un costo finale di 840 mila euro che andrebbero a premiare quei club che si dimostrino più capaci di formare giocatori ai alto livello. Aggiungiamoci le spese e arriviamo a un milione . Io dico: molto meglio così che il finanziamento a pioggia, uguale per tutti o quasi. Ma, soprattutto, senza una giustificazione oggettiva e immediatamente percepibile. Senza contare che agendo in questa maniera si stimolerebbe anche il mercato e si motiverebbero giocatori e tecnici a dare veramente il massimo.
  • Più in generale, quale dovrebbe essere il ruolo della Fir nel processo di evoluzione del nostro movimento di base?
  • Di sostegno, ovviamente. Ma un sostegno illuminato, intelligente. Parametrato secondo criteri credibili e riconoscibili.
  • Un esempio concreto, per favore…
  • Sei il Petrarca, hai 500 tesserati nel tuo settore giovanile? Se vuoi avere accesso ai contributi per l’attività di formazione devi – ripeto e sottolineo: devi – ogni anno formare almeno 5 giocatori che soddisfino i parametri di qualità dell’alto livello del settore. Sei il San Niente di sotto e di tesserati ne hai solo 100? Da te me ne aspetto almeno 1. Complicato? Non mi pare.
  • Non più di un giardino ben progettato, suppongo…
  • A tal proposito vorrei chiarire che se diventerò, come spero, un buon architetto del verde, sarò un architetto con i calli sulle mani. E non per colpa delle matite e delle squadre. Ma dei badili e  delle carriole.

 

Abbiamo cercato e trovato il passaggio citato da Andrea Cavinato e lo sottoponiamo nella sua forma completa ai nostri lettori.

Affermava Albert Einstein: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorgono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere 'superato'. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

Albert Einstein
(da Il mondo come io lo vedo, 1931)”.