Giada Franco: il professionismo sta nei dettagli
Articolo pubblicato su Allrugby numero 144
Se vogliamo cercare un posto al mondo in cui il rugby femminile si affaccia realmente al professionismo, dobbiamo andare nel Regno Unito. E possiamo parlarne con la terza linea Giada Franco, fenomeno emergente in azzurro da quest’anno in forza alle Harlequins. Lo stesso club con cui nel 2017 Manuela Furlan, Jessica Busato e Michela Sillari conquistarono il titolo di campionesse d’Inghilterra.
Il trasferimento di Giada dal Colorno alla società londinese è stato curato da Isc, agenzia di procuratori, e questo ha dato un po’ l’idea di un cambio di marcia, qualcosa di nuovo per una rugbista italiana. “Di fatto - precisa lei - sono lontana dal potermi definire una professionista, penso a studiare e anche a cercarmi un lavoretto. Ma il professionismo, o meglio la professionalità, si vede in altre cose”.
Vale a dire? “La maggiore visibilità significa molti investimenti, stadi bellissimi, rose di 40-45 atlete, staff più attrezzati e più numerosi, in una parola più completi. La base delle praticanti è vasta e da questa profondità è più facile riuscire a tirare fuori un livello qualitativo molto importante. Tra le mie compagne le professioniste a tempo pieno sono quelle che giocano per l’Inghilterra, poi ci sono alcune semipro scozzesi. Di conseguenza per molte aumenta il tempo da dedicare al rugby, curando di più tutti i dettagli. Ma ripeto, non è qui la differenza fondamentale, anche perché il professionismo è praticamente una novità. Sono il numero delle atlete e la mentalità degli appassionati a fare la differenza”.
Un esempio? “Il 28 dicembre abbiamo giocato a Twickenham, subito dopo il match maschile tra Harlequins e Leicester (finito 30-30 e per noi nefasto a causa del grave infortunio di Campagnaro, ndr). Abbiamo affrontato le irlandesi del Leinster davanti a 7.500 persone e abbiamo vinto 47-26. Una gran bella esperienza”.
Magari un seme gettato per avere competizioni internazionali delle donne a livello di club. E per provare a farsi conoscere ancora meglio. Intanto l’Italia delle ragazze può provare a capitalizzare meglio il suo trend generalmente positivo. “Prendiamo il calcio - dice Giada -. È uno sport che mi appassiona, tifo Juve al maschile e al femminile e penso che il boom mediatico dei Mondiali dell’estate scorsa sia stato importante per tutte le donne dello sport. Basta pensare all’impatto della capitana Sara Gama: una testimonial diventata riconoscibile soprattutto per aspetti che vanno oltre il terreno di gioco. Spero che anche qualcuna di noi Azzurre inizi a percorrere questa strada”.
I “prospetti” in questo senso non mancano: limitandoci alle giocatrici più giovani viene in mente Micol Cavina. “Però - avverte Giada - resta il fatto che senza un gruppo, senza una squadra forte sarebbe ben difficile emergere sul piano della popolarità”.
Di Giacomo Bagnasco
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